la Repubblica, 22 luglio 2016
Ieri abbiamo capito che un giorno Aru vincerà il Tour
MEGEVE
Questa sarebbe stata una crono pesante già all’inizio del Tour. Alla fine, è pesantissima. Poca pianura, solo i primi 4 km che servono a trovare il ritmo, e appena lo si trova bisogna cambiarlo: lo esige la salitella di Domancy, diminutivo dovuto alla lunghezza (2,5 km in tutto), non certo alla durezza. La pendenza media è del 9,4%, vale a dire che all’uscita da un tornante si trovano tratti all’11-12%. È una salitella spezzagambe e, nel caso, un po’ imbrogliona. Chi l’affronta con troppa foga e la supera pensando che il peggio è passato rischia di imbarcasi di brutto, perché restano 10 km abbondanti, gli ultimi 2 in discesa, ma gli altri in continua salita, sia pure con pendenze più dolci. E conviene arrivarci lucidi. Una crono per Dumoulin e Froome, dicevano tutti. E così è stato, ma ha vinto Froome. Bravissimo Aru a piazzarsi alle spalle di questi due. Dumoulin e altri (Porte, Valverde) l’hanno presa di petto, calando nel finale. Froome, il contrario. Viene fuori di potenza nel finale, sul traguardo picchia un pugno all’aria, il Tour è ancora più suo.
Aru chiude stremato e contento. È stato nei cinque dal primo intermedio alla fine. È andato fortissimo, Fabio, e non era così facile. Lo staccano Froome di 33”, Dumoulin di 12”, Porte impiega lo stesso tempo e degli altri soltanto Bardet, a 42”, limita i danni sotto il minuto. Perché non era facile per Fabio? Per la mezza delusione di Finhaut-Emosson e per il cattivo ricordo della cronometro precedente. Dice Martinelli: «Fabio non ha sbagliato nulla e questo risultato fa molto bene al morale. Ora non ha nulla da perdere, sono certo che nei prossimi due giorni vedremo un grandissimo Aru». Siamo qui anche per questo. La classifica non garantisce nessuno, da oggi conta solo la freschezza. Questo è un pensiero fisso di Aru, che ha in mente Joux Plane. Occhiata ragionata alla classifica: Mollema (in calando) ha 24” su Yates (segni di stanchezza) che ne ha 21 su Quintana (mistero: male sulla salita di Domancy, poi bene), che ne ha 20 su Bardet (in crescendo) che ne ha solo 3 su Porte (in netto crescendo) che ne ha 68 su Aru, e questo è il gradino più difficile. Anche per Froome, infatti, «Richie è il più forte tra gli aspiranti al podio».A tutti questi numeri, riassumibili in 2’16” che separano il secondo dal settimo, che è Aru, il settimo non vuole pensare. Per ora. «Un segnale importante è che ho fatto le cose come dovevo, che la preparazione era giusta. Adesso devo solo pensare a stare tranquillo, a recuperare, a stare un po’ con i miei genitori che sono arrivati mercoledì, ma c’è stato poco tempo». Ieri era il compleanno di sua madre Antonella. Si fermeranno fino a sabato sera, sperando o intuendo che ne varrà la pena. La crono di Aru si può definire straordinaria: nella prima, alla Caverne, aveva beccato quasi 5’. Nibali lo incalza: «Ma ti rendi conto di cos’hai fatto? Esordisci al Tour e a due giorni dalla fine lotti per il podio».
Aru se ne rende conto ma, come dice lui, «preferisco pedalare che parlare. Voglio dire che se mi trovo a questo punto è perché la squadra ha lavorato per me e Vincenzo in particolare. Non dimenticherò mai come s’è comportato nella tappa di Andorra Arcalis. E mi ha ferito sentire che era criticato perché mi aiutava poco. Non è vero. Ho due tappe difficili per attaccare, vi garantisco che attaccherò».
L’impresa di Aru dà sostanza a un Tour che, non per colpa di Froome, sembra avere annoiato anche i suoi organizzatori. Tutta la prima pagina dell’Equipe di ieri era dedicata al trasferimento di Pogba a Manchester, solo un riquadro senza foto per una bella tappa di montagna. Aru attaccherà, non è solo questione di orgoglio sardo, è che ha ancora energie da spendere e gli è tornato il morale. Alla luce dei piccoli scarti in classifica, non sarà il solo ad attaccare. Lo farà Porte, lo farà Bardet, lo faranno i Movistar alla ricerca del podio perduto. Non lo farà Froome: «Dopo una giornata perfetta, giuro che non pensavo di battere Dumoulin, è venuto il momento di controllare la corsa, ed è quello che faremo. Ho un vantaggio di sicurezza, non ho bisogno di incrementarlo».
Aspettiamoci fuochi d’artificio salendo verso Saint Gervais. Gli ultimi fuochi di un Tour che Froome ha vinto dando l’impressione di poterlo stravincere. Ha scelto il basso profilo. Anche le domande, alla conferenza-stampa, sono stanche: e se corresse per la Fortuneo o una piccola squadra? «Semplice, non potrei vincere il Tour. Forse cercherei di vincere una tappa. Il segreto di Sky è che otto corridori, anzi nove includendo me, partono con una sola idea, un solo obiettivo: portare la maglia gialla a Parigi. Altre squadre hanno il doppio capitano, o un velocista da sostenere, insomma tante cose a cui pensare. Noi no». E si vede. Ma se adesso mi chiedessero chi vincerà il Tour tra due anni, o quando Froome avrà smesso, risponderei Aru.