Il Sole 24 Ore, 21 luglio 2016
Stiamo perdendo la guerra contro la malafinanza
La malafinanza è come la gramigna: finché i contadini – e banche centrali ed i vigilanti in generale – non la smetteranno di illudersi che il grano (mercati sani e regolari) non cresce da solo (cioè l’autoregolamentazione) le piante infestanti (cioè i comportamenti illegali) saranno sempre verdi.
Usciamo dalla metafora: è di ieri la notizia che le autorità giudiziarie americane hanno arrestato un manager della finanza per frode sul mercato dei cambi. Il manager, che lavora per la banca Hsbc – una multinazionale fondata nel lontano 1865 per sviluppare gli scambi finanziari tra Europa, India e Cina – e si occupa (ironia del destino) dei mercati dei cambi per Europa, Asia (e Africa, a buon peso) avrebbe usato informazioni privilegiate e riservate dei clienti per manipolare i cambi, a danno degli stessi clienti e con vantaggi per la propria banca (e si può immaginare, diretti o indiretti, veri o auspicati, anche per la propria carriera professionale e il proprio stipendio).
Dove è la notizia? In effetti, a pensarci bene, nel fatto in sé non c’è alcuna sorpresa. A partire dal 2008 – l’anno di inizio della Grande Crisi – al 2013 – ultimo dato rintracciabile – le multe inflitte dalle autorità alle banche per manipolazioni fraudolente sui cambi hanno superato i dieci miliardi di dollari. Una grande cifra? Dipende dai punti di vista. Come multa finanziaria il boccone appare grande e indigesto; ma la stessa somma ha lo stesso peso di un pugno insignificante di noccioline se la si compara al volume quotidiano di scambi sui mercati dei cambi: circa cinquemila miliardi di dollari. In aggregato, dunque, per l’industria finanziaria internazionale l’onere cumulato delle sanzioni monetarie su cinque anni per manipolazioni sui cambi rappresenta una frazione infinitesimale, risibile, del volume di affari di quello stesso mercato. È vero che il mercato dei cambi appare in una fase declinante: rispetto al picco del 2014 – quando il valore degli scambi quotidiani superava i seimila miliardi di dollari – ma le proporzioni ridicole tra sanzioni e fatturato rimangono.
Sanzioni risibili implicano che il costo atteso della manipolazione tende a zero. Quindi la manipolazione si ripete. Non c’è notizia.
Forse la notizia è che esiste una specificità del mercato dei cambi in termini di propensione alla manipolazione? Neanche questo. Sempre a partire dal 2008 – probabilmente perché è anche aumentata l’attenzione delle autorità, quindi la probabilità di scoperta dell’illecito è aumentata – i casi di manipolazioni sui prezzi internazionali – dei cambi come dei tassi di interesse – sono emersi con sempre maggiore frequenza. La fattispecie è sempre la stessa: quando nel mercato vi sono dei fallimenti – ad esempio nell’eccesso di discrezionalità, o nel deficit di trasparenza, o in carenze di competizione – l’abuso di mercato è sempre dietro l’angolo: l’operatore finanziario infedele che proverà a massimizzare il suo profitto, approfittando della rendita di posizione a sua disposizione – sia essa concorrenziale, informativa, di posizione – e fidando in una probabilità di scoperta dell’illecito bassa – o presunta tale – prima o poi comparirà. Non c’è notizia.
Ma forse allora la notizia è che le autorità di controllo – siano esse le banche centrali o in generale i supervisori bancari e finanziari – hanno finalmente compreso che la finanza non è fatta per meccanismi di autoregolamentazione. Il connubio tra efficienza dei controlli ed efficacia degli stessi è un equilibrio desiderabile ma difficile da ottenere, e va ricercato dalle autorità certo ascoltando il mercato, ma mai facendosi da esso catturare, oppure sostituire. Se i prezzi non sono il risultato di scambi, continui, centralizzati e trasparenti, si creano rendite di posizione, ed i soggetti privilegiati – tipicamente i banchieri – potranno sempre avere la tentazione di approfittarne. Eppure, nonostante le cronache degli ultimi anni siano costellate di manipolazioni finanziarie sui prezzi, chi continua a fissare prezzi fondamentali come il Libor, o l’Euribor, o quello che una volta si chiamava il Ribor? Sempre le banche. Evidentemente alle autorità di controllo andava, e continua ad andare bene così.
Una ulteriore conferma? È fresca del maggio 2016 una iniziativa della Banca dei regolamenti internazionali, che ha creato un codice di condotta degli operatori sui mercati dei cambi pomposamente battezzato Codice Globale.
È una iniziativa promossa nel luglio 2015 – evidentemente sull’onda della catena di manipolazioni – attraverso la creazione di un gruppo di lavoro a cui hanno partecipato ben 21 banche centrali, che rappresentano le 15 maggiori aree valutarie. Di concerto con gli operatori – e ci mancherebbe altro – hanno elaborato un codice che ufficialmente partirà nel maggio 2017. È questa allora la notizia? Purtroppo no, perché il codice nasce morto per almeno due ragioni. In primo luogo l’adesione al codice è volontaria; in secondo luogo non esiste alcun apparato sanzionatorio. Siamo al solito elenco di principi di buon senso – in cui non manca il solito oramai stantio richiamo a una presunta e mai dimostrata etica del mercato – che si affiancherà alle leggi esistenti in ciascun Paese. A maggio il Codice Globale, a luglio l’ennesima scoperta di comportamenti fraudolenti.
Ci sarebbe da ridere, se la constatazione della sistematica incapacità di imparare dalle lezioni che i fallimenti di mercato ci impartiscono non alimenti sempre la convinzione che può esisterci sistematico fallimento del mercato solo dove a fallire sono i regolatori, vuoi per ignoranza, vuoi per convenienza.