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 2016  luglio 21 Giovedì calendario

Le ferie estive ai cancelli di Mirafiori. Cronaca di una vacanza operaia nel 1978

Il primo che incontro è Franco Ghirotti, un operaio della linea di montaggio, barba sottile e ben curata: arriva in bicicletta, la bottiglia di acqua e vino che sporge dalla borsa. «Vado in campeggio – dice – a Porto Garibaldi, in Romagna. Abbiamo fatto i conti in tasca, con mia moglie e i due figli: stando un po’ stretti, contiamo di spendere quattrocentomila lire in tre settimane». Poi esce Orlando Sabatini, massiccio e sorridente: «Vado in Umbria, sarò via le quattro settimane. Mi arrangerò, ho dei parenti a Spoleto». E Antonietta Adamo, alta e biondissima: «Anche noi siamo in quattro in famiglia: andremo in campeggio a Chioggia. Speriamo di farcela con mezzo milione».
Il più allegro e tranquillo sembra un veneto, Antonio P., che da diciassette anni lavora alla Fiat: prima andrà a trovare i parenti a Venezia, poi si sposterà a Cesenatico: «Abbiamo già prenotato un alloggetto: ci costa trecentocinquantamila lire. In tutto ci vorrà un milione. Me lo posso permettere perché anche mia moglie lavora».
Il cancello di Mirafiori
Davanti al cancello 2 della Fiat Mirafiori, nella via Tazzoli bruciata da un sole africano, sono questi i discorsi che si raccolgono tra gli operai, all’uscita del turno delle 14.30. Questa volta la fine del turno è anche l’inizio di una vacanza che si protrarrà per quattro settimane: il tempo della «chiusura collettiva» contrattato tra Fiat e sindacato.
L’atmosfera di ferie, tipo ultimo giorno di scuola, si respira nell’aria: ed è accentuata, quasi esasperata, dalle grida dei venditori ambulanti che stazionano davanti al cancello. C’è il camion con la frutta e quello con le angurie: c’è il banchetto delle valigie in finta pelle e degli attrezzi per campeggio. Ma c’è, soprattutto, un’esposizione di musicassette (prezzo stracciato: mille lire l’una), col venditore che per attrarre l’attenzione fa suonare a tutto volume «I big del liscio», «Heidi», la «Mazurka di periferia».
Molti operai escono di corsa, e scappano via. Altri si fermano, comprano, discorrono con quattro ambulanti che continuano a inveire contro il sindaco di Torino. «Siamo abusivi, lo so. Ma perché – si lamenta un siciliano baffuto e corpulento – non lascia vivere anche noi? Perché non ci danno licenze? Ladri dobbiamo diventare?». Ma la protesta cade nel vuoto. La gente pensa a partire, vuol parlare di ferie (...). E due ragazze: «Torniamo al paese, in provincia di Avellino. Speriamo di cavarcela con quattrocento-cinquecentomila lire».
I soldi e la crisi
I discorsi sulle vacanze sono intrecciati con quelli sui soldi. «C’è crisi, la lira manca, almeno a me» protesta una ragazza giovane e mingherlina: «starò a casa». Un altro operaio sbandiera il titolo di un giornale del pomeriggio: «Ha letto qua!» e fa vedere la storia di un operaio siciliano che si è ucciso a Venaria, un comune a pochi chilometri da Torino, perché la moglie e i quattro figli lo avevano indotto a ritirare tutti i risparmi (700 mila lire) per pagarsi qualche settimana di ferie al paese.
Interviene un altro operaio, Vincenzo Lapio: «In famiglia lavoro io solo. Lo stipendio basta sì e no per tirare avanti». Spiega che questa è una condizione vissuta da molte famiglie operaie, e conclude: «Stanno bene solo quelle dove entra più di uno stipendio» (...)
Così, un po’ freneticamente, comincia l’annuale superesodo di fine luglio. La «Torino operaia» non cerca vacanze strane, non si affida alle grandi agenzie di turismo, alle quali si rivolge la media borghesia e anche quella fascia di impiegati che inseguono un’estate un po’ esotica o, più modestamente, vogliono mandare i figli un mese in Inghilterra (...) In fondo, per quanto pochi oserebbero ammetterlo, anche l’esodo di fine luglio è uno dei riti collettivi ai quali tutti si sentono inconsciamente affezionati.

Stralcio dall’articolo intitolato: «È cominciata così la vacanza operaia» pubblicato sul Corriere della Sera del 29 luglio 1978.