Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 21 Giovedì calendario

Hillary Clinton, la prima donna nella storia alla quale è stata dedicata un’intera convention. Contro

È un trionfo delle pari opportunità, volendo. Hillary Clinton è la prima donna nella storia alla quale è stata dedicata un’intera convention. Contro, vabbé. Molto più che del programma di Trump, gli oratori, parlano male di lei. Più che «We want Trump!», vogliamo Trump, i delegati urlano «Lock her up!», rinchiudetela, in galera.
Il discorso di Chris Christie, finora il migliore in campo, è stato un esercizio di bullismo, di frasi a effetto su Clinton «colpevole» di qualcosa per scatenare il «Lock her up!». Ben Carson l’ha paragonata a Lucifero, è stato ben accolto anche lui. Fuori dai cancelli, le spille con le facce di Clinton e Monica Lewinsky e un battutone su chi «succhia» meglio (in inglese «suck» vuol dire anche «fare schifo») sono esaurite da ieri. I delegati, se intervistati, denunciano Hillary, e glissano su The Donald. Forse perché l’ex Lady Macbeth della Casa Bianca ha accumulato vaste riserve di odio viscerale a destra, dal 1992 in poi. Forse perché «molti repubblicani sono convinti di perdere le elezioni», scrive Greg Sargent, blogger liberal del Washington Post. «Portando la platea a scandire “lock her up”, gli oratori del GOP cercano di delegittimare in anticipo la sua presidenza». E posizionarsi per il 2020, e sperare di battere una presidente azzoppata in partenza. Di sicuro, il sentimento è bipartisan. Mai come quest’anno si vota solo contro. A Cleveland i borghesi liberal dicono «guardiamo annunci immobiliari in Canada e Irlanda in caso vinca Trump». E «non voglio crescere le mie bambine in un Paese governato da lui». E «andremo tutti a votare, contateci, siamo uno Stato decisivo e non siamo matti come in Florida»; ma non per Clinton, contro Trump. «Cleveland è la città più grande e più democratica dello Stato —, spiega T.C., studente lavoratore afroamericano della University of Cleveland —. Nel resto dell’Ohio vincerà Trump di sicuro. Hillary deve stravincere qui. Ma un sacco di gente è demotivata e non sa se andrà a votare. Insomma, se l’8 novembre a Cleveland piove, potremmo avere Trump. E i trumpiani, “Lock him up!”, lo diranno a me». Auguri.