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 2016  luglio 21 Giovedì calendario

Chris Froome rosicchia qua e là come un topone

FINHAUT-EMOSSON
In capo a una tappa che è una bellissima pubblicità per la Svizzera e il Vallese in particolare, una cosa è chiara. Era già chiara, veramente, ma questa è la conferma: Chris Froome in questo Tour fa quello che vuole, e lo fa con delicatezza, rosicchiando qua e là come un topone. Nessun bisogno di grandi manovre e di grandi imprese, che poi magari fanno venire qualche dubbio. Una piccola, sana contabilità che sembra basata sul q.b. delle ricette: sale, pepe, cumino q.b., al Tour scattini, colpettini discreti all’uscio, ventaglietti e una discesa incredibile, ma incredibile per lo scarso guadagno rispetto al forte rischio. Mettiamoci la corsa a piedi sul Ventoux, mescoliamo e otteniamo un Froome di proporzioni minori, più umano se volete, ma sempre al sicuro. Forte lui, forte la squadra, gli altri perdono terreno, perdono voglia, perdono fiducia. Ieri, partita la solita fuga, ma a fatica, dopo un’ora a quasi 52 orari, si rispetta il copione delle due tappe in una. In fuga, manco a dirlo, Sagan e altre vecchie conoscenze: Majka e Pantano, Pozzovivo e il regionale Morabito, Voeckler che ci prova sempre e Zakarin. Il gruppo lascia fare, fino ai 16’. Da sottolineare che Sagan va in fuga senza la necessità di fare punti per la maglia verde: Cavendish, il solo che poteva contrastarlo, non è partito. I colleghi colombiani tengono a far sapere che il 20 luglio, oggi, per loro è come il 14 per i francesi: “El grito de independencia”, la festa nazionale, vedrete cosa s’inventerà Nairo Quintana. Certo che vedremo. Finhaut-Emosson: un nome, un appuntamento, una garanzia.
Le albicocche del Valais sono più buone di quelle savoiarde, ma in cima alla mia classifica restano Drome e Ardèche. Svizzera verde e blu, campi e boschi e laghi e fiumi, ma sole africano. Per un gruppo già stanco morto queste ultime tappe non sono biscottini. Davanti, sull’ultima salita, si rompe il gruppetto: restano in due, Majka e Pantano, i primi due sul traguardo di Culoz. Prima di tirarsi da un lato, Sagan ha fatto gli auguri a Majka, suo pupillo. Cercasse di vincere la tappa, magari il miliardario Tinkoff cambia idea (difficile) e la squadra non chiude. Nel caso, per Sagan ci sarà una coda che nemmeno per Pogba. Per Marc Madiot «Sagan è il nipotino di Merckx. Nessun paragone tra i due, ma Peter, come Eddy ai suoi tempi, sta facendo capire al resto del gruppo cosa vuol dire indossare degnamente la maglia iridata. In questi ciclismo di ragionatori Sagan è una benedizione».Majka non vince, ma consolida il primato tra gli scalatori. Majka non vince perché su lui e Pantano arriva Zakarin, russo della Katusha, li pianta e non lo vedono più. C’è sempre un miliardario russo nelle storie di ciclismo come nei romanzi gialli. Per un Tinkoff triste, un Makarov allegro: Ivan Makarov, patron della Katusha, amico personale di Putin e presidente della federciclo russa. Zakarin ha una faccia da sciupafemmine, anche se dice che la sua fortuna è la moglie, nutrizionista. Che appena lo vede un po’ ingrassato (anche di 8 kg, pare) lo mette a dieta, gli prescrive molta corsa a piedi e, per essere sicura che lui corra, lo segue nelle uscite. Nel 2009 Zakarin s’è beccato due anni di sospensione per uso di metandrostenolone. L’anno scorso aveva vinto una tappa del Giro a Imola, da solo dopo una lunga fuga, e dal Giro quest’anno è tornato a casa con una clavicola fratturata. Era quarto in classifica e mancava poco alla fine. E potrebbe vantarsi, Zakarin, di aver battuto Froome in una corsa a tappe, sia pur breve come il Romandia del 2015. Curiosità: vive a Cipro.
Zona alta classifica: una selva di maglie nere circonda Froome, poi se ne vede qualcuna azzurra, è l’Astana. Nibali si smazza l’andatura su mezza Forclaz (penultima salita, e relativa discesa) e attacca in testa l’ultima. Crea danni collaterali. Tra i fulminati, Van Garderen che becca 18’, tutti gli anni la stessa storia, il giorno-no. Dopo Nibali tocca a Rosa. Froome osserve incuriosito. A ruota ha sempre Quintana. La guardia nera perde qualche elemento ma basta e avanza. A 2 km dal traguardo, su una curva, la bandiera coi Quattro mori. Ce l’hanno portata i genitori di Aru, che sono arrivati ieri noleggiando un pullmino e resteranno fino a sabato. Poco oltre, sullo scatto di Aru fa da stopper Poels. Più o meno alla fiamma rossa scatta Porte, uno scatto più secco di quello di Aru. Il colonnello Froome segue il tenente Porte come ai vecchi tempi, senza uscirgli di ruota. «Non c’era bisogno di aumentare la velocità, qualcosa sapevo di avere rosicchiato». Aru ringrazia la squadra che ha fatto un grandissimo lavoro (con un bottino inferiore alle attese) ma non è scontento: «Ho guadagnato due posti in classifica, non ho risposto a Porte per non andare fuorigiri. Già oggi conterà la freschezza atletica, e anche dopo. Nella tappa di Joux Plane si possono perdere minuti, non secondi».
Ai colleghi colombiani Quintana ha detto che il sogno di vincere il Tour quest’anno è finito ma il sogno no. «Ho ancora molti anni davanti, non mi preoccupo». Bene così, auguri. Meno bene per Valverde (circa 2’ persi). Solo i superstiziosi pensano che il Tour non l’abbia già vinto Froome, perché negli anni che terminano col 6 quasi sempre c’è stato il vincitore a sorpresa. Ma io, toccando ferro, non sono superstizioso.