la Repubblica, 21 luglio 2016
Fuori Rattata dagli Uffizi
«Avvistato agli Uffizi Pokemongo». Non è una delle demenziali domande del quiz che a giorni attende i 19.500 candidati al concorsone per funzionari dei Beni culturali, ma un tweet del ministero di Dario Franceschini. Un tweet che ha sdoganato la caccia alle creature immaginarie giapponesi, che stanno sciamando nei corridoi di Vasari, nelle sale di Pitti, in quelle dell’Archeologico di Napoli e in mille altri luoghi monumentali.
Il direttore degli Uffizi ha salutato con pragmatismo la linea ministeriale: sempre meglio l’invasione virtuale dei Pokemon di quella concretissima delle zecche, debellata a fatica negli scorsi mesi. Difficile dargli torto, ma forse non è inappropriato prendere la cosa sul serio. Negli Stati Uniti alcuni musei (il MoMa di New York in testa) si sono buttati nella pokemon-mania, ma siti come il Museo dell’Olocausto a Washington e il Memoriale di Ground Zero hanno trovato terribilmente inappropriato l’assalto delle bestiole. Ora, il fatto che i registi di questa caccia planetaria non si siano fatti alcuno scrupolo di invadere luoghi come questi ultimi, o come il cimitero monumentale di Arlington, può dare un’utile chiave di riflessione. I dubbi, infatti, non sorgono certo dalla “sacralità” dei musei o dell’arte (che, semplicemente, non esiste), né dall’accostamento alto-basso o da un sospetto verso la dimensione del gioco: ma semmai dal fatto che Pokemon Go è una spregiudicata operazione commerciale (2,1 miliardi di fatturato nel 2015). E i musei dovrebbero essere tra i pochi spazi in cui non siamo clienti, consumatori, pedine: ma cittadini liberi. Liberi perfino di pensare e di vedere. E se invece vogliamo rassegnarci al fatto che non esistano luoghi liberi dal marketing, è giusto che per girare un documentario agli Uffizi si paghi, mentre Pokemon Go può sfruttarli gratis per un’autopromozione planetaria?
Su un piano più alto ci si può chiedere se tutto questo non rischi (per usare le profetiche parole di Italo Calvino nella lezione americana sulla visibilità, 1985) di farci «perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini». Calvino invocava una «pedagogia delle immagini»: e ho seri dubbi sul fatto che correre attraverso un museo con la faccia nello smartphone possa farne parte.
Poi, certo, può succedere che un ragazzo entri agli Uffizi per la prima volta in vita sua grazie a Pokemon Go, e che inseguendo Rattata e Bulbasaur si scontri (speriamo non materialmente) con Cimabue, Giotto o Raffaello. Se poi, una volta dentro, il telefonino gli si scaricasse: beh, sarebbe un provvidenziale miracolo. Di Beato Angelico.