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 2016  luglio 21 Giovedì calendario

Nella casa adottiva del profugo terrorista

DAL NOSTRO INVIATO
GAUKÖNIGSHOFEN.
Spunta dietro un vaso di rose superbe. Ha l’aria sospettosa. Aspetta che la raggiungiamo, che scendiamo i pochi gradini di casa per andarle a stringere la mano sul retro, dove sta mangiando con il resto della famiglia. Sono stretti, chini sui piatti. Sono gli Höfner. Hanno ospitato Riaz nelle ultime due settimane. Ma gli occhi della signora si riempiono di lacrime. Si mette la mano sui capelli bianchi, un gesto di pudore, ma non regge. «Era un ragazzo dolcissimo – sussurra – era una persona perbene. Mai avremmo pensato». Il figlio Andreas la raggiunge con un balzo, «non commentiamo nulla, non c’è niente da dire». Suo fratello Christian non c’è. È lui che ha ospitato il ragazzo con l’ascia che ha gettato la Germania nel terrore, il ragazzo che ha tentato di sterminare una famiglia su un treno al grido di Allah Akbar. Fanno trenta gradi. Il resto della famiglia Höfner è raccolta all’ombra, sotto un pergolato. Mangiano in silenzio, ci supplicano anche con gli occhi: andatevene.
Gaukönigshofen è una strada e un campanile. Un paesino di duemila e cinquecento anime immerso nella rigogliosa campagna bavarese, a otto chilometri da Ochsenfurt, la cittadina dove Riaz ha trascorso mesi in un campo di accoglienza. Per arrivare a Gaukönigshofen si attraversano boschi, campi di grano sterminati. Gli Höfner abitano tutti a pochi metri l’uno dall’altro, in una viuzza. La casa azzurra dove abbiamo incontrato la madre è circondata da un trionfo di fiori, è l’edificio più allegro del paesino. E la famiglia è amata: Andreas fa il pompiere volontario, Christian è un ingegnere, entrambi sono noti per il loro impegno con i profughi, per le attività di volontariato. E Riaz sembrava perfettamente in sintonia, perfettamente integrato: giocava a calcetto con la squadra locale, stava imparando a fare il panettiere. Su Facebook, le immagini di lui che sorride con gli amici, che sorride in treno, che indossa una parrucca viola per il carnevale, sempre sorridendo.Le indagini su di lui, intanto, continuano. E ieri l’emittente pubblica Zdf ha diffuso una notizia clamorosa: dieci mesi fa, quando arrivò in Germania, Riaz sostenne di essere minorenne e di venire dall’Afghanistan. Ma nella sua stanza gli inquirenti avrebbero trovato documenti pachistani che farebbero pensare che abbia mentito sulla sua provenienza per ottenere più facilmente il diritto di asilo. Il presidente dell’Ufficio federale per la difesa della Costituzione, Hans-Georg Maassen, ha accreditato questa tesi in un’intervista televisiva.
Ma nella cittadina dove era stato in tutti questi mesi prima di essere affidato agli Höfner, Ochsenfurt, la gente continua ad essere incredula. Tanto che non sono in pochi a pensarla come Sarahat, che insieme al marito Bucak ha un piccolo negozio di frutta e verdura sulla via principale. «Perché gli hanno sparato? Era un ragazzo con un’ascia e forse era difficile fermarlo ma crivellarlo di colpi in quel modo…». Sarahat non ha dubbi sul movente: «Non esiste, era un ragazzo psicolabile, mi sembra evidente». Mentre parliamo entra un uomo alto, stempiato, «Ciao Ahmed», lo saluta Bucak. Ahmed è qui da dieci mesi, come Riaz. In Siria faceva il meccanico, ora aspetta con ansia di cominciare il suo corso di tedesco e di tornare a lavorare. Ha portato con sé la moglie e i cinque figli, ha conquistato da poco un permesso di soggiorno. «Riaz – scandisce lentamente – ci ha feriti al cuore. Mi vergogno per quello che ha fatto. È disumano. Ha infangato il nome di Allah».