21 luglio 2016
Tre ritratti di Stefano Ricucci da Zagarolo
Mattia Feltri per La Stampa
Se davvero lo abbia detto oppure no - «Che, mi portate in galera per un paio di fatture?» - poco cambia. Niente del dispiacere di vedere questo Balotelli della finanza di nuovo nei guai e niente di una maschera tradizionale adattata ai tempi moderni: era già definitivo lo stupore di Stefano Ricucci quando Angelo Rovati, consigliere di Romano Prodi, gli aveva riferito del «lanzichenecco» che gli destinò Diego Della Valle. «Lanzichenecco a me? Lanzichenecco a uno che se tromba ’a Falchi tutte le sere?». L’insulto scambiato per uno sfregio alla virilità aveva dato la caratura all’estate del 2005, quella dei «furbetti del quartierino», da un’altra prodezza lessicale di Ricucci, e aveva dimostrato che il tracollo italiano si intuiva soprattutto da sintomi estetici. Fu l’estate delle scalate bancarie e del terrore nei salotti perché questi «furbetti del quarterino», questi immobiliaristi alla Ricucci e alla Danilo Coppola (che nulla c’entra col Mirko arrestato ieri), coi capelli lunghi sul collo e i ciuffi a sipario sulla fronte, con le camicie aperte sui peli del petto, con il look estivo total white, con i Caraceni metallizzati delle serate in società, si erano messi in testa di scalare il Corriere della Sera.
Già allora si paragonò Ricucci a Gasperino il carbonaio, il sosia del marchese del Grillo, issato alla tavola dei blasonati dove ingolla vino, rutta, chiama «cacarella» il sufflé, e i commensali trasaliscono ma restano lì, credendo il carbonaio uno di loro. Ricucci era invece sceso da Zagarolo - una crudele provenienza scritta nel destino e nel plot - con le tasche piene di soldi guadagnati con la compravendita di terreni e l’edificazione di palazzine giallo ocra con la sbarra all’ingresso del vialetto. E ai tempi belli aveva un patrimonio di quasi 700 milioni di euro e pareva sventolarli per l’ingresso nel bel mondo. Non voleva il Corriere della Sera: voleva l’emancipazione, la nobiltà, il numero di telefono della sciccosa imprenditoria italiana e anche di quella meno sciccosa: «Sa perché io e lei siamo antipatici a tutti? Perché ci piacciono le belle donne», gli disse Silvio Berlusconi in un colloquio che per Ricucci era un’incoronazione. Poi è vero che una certa estetica non manca neppure agli sciccosi, esibita con la pubblicazione di un sms della suddetta Falchi, cioè Anna, attrice, già fidanzata del centauro Max Biaggi che la portava con sé in moto nel giro d’onore. «Solo per dirti che sono la donna più felice del mondo perché ho te AMORE MIO GRANDE TI AMOOO, capito? Sono tua per sempre». Finì sulle pagine tutti i giornali in un’interpretazione molto fantasiosa del diritto di cronaca. Nelle migliori commedie non ci sono buoni e cattivi, ci sono burini e diversamente burini, e infatti andrebbero stabiliti i ruoli nella scena di Ricucci che insieme a Francesco Gaetano Caltagirone incontra Gianni Consorte - capo di Unipol allora impegnato a fornire una Banca all’ex Pci - la cui disinvoltura lo estasia, tutti quei «ciao Piero» e «ciao Massimo», quella familiarità del tu, il mondo dei Serbelloni Mazzanti infine così accessibile, gli piovono in testa Alejandro Agag, genero dell’ex premier spagnolo José Maria Aznar, Arnaud Lagardère, editore francese amico di Nicholas Sarkozy, ma lui rimane sempre Gasperino il carbonaio, un commerciante di lupini, quando lo accusano «in concerto con...» è di nuovo il lanzichenecco: «No, dice er concerto... Ma che me frega a me de ’sto concerto... Ma che, è ’na cosa penale?». La galera, il fallimento, i debiti del fisco, una seconda vita al fianco di starlette da migliaia di selfie a labbra arricciate su Facebook. E un oblìo che non arriva.
Fabrizio Caccia per il Corriere della Sera
«Starò vicino a Stefano anche questa volta», promette Anna Falchi. Una vita fa, 9 luglio 2005, si giurarono amore eterno a picco sul mare. Nozze da fiaba, a Villa Feltrinelli. Nozze da copertina: mille paparazzi accorsi all’Argentario per immortalare il sì della bella attrice finlandese e dell’immobiliarista romano che, in quell’estate rovente, tentava la grande scalata a Rcs.
Anna Falchi e Stefano Ricucci: ma l’amore durò poco, due anni dopo era già arrivata la separazione consensuale. I sentimenti, però, sono rimasti. «Mi dispiace molto — continua la showgirl naturalizzata italiana — Ho subito telefonato ai suoi avvocati e alla mamma Gina per informarmi di quanto è successo. Stefano ed io, malgrado tutto, siamo rimasti in buoni rapporti. Insieme, abbiamo passato momenti belli ma anche bui. Per questo oggi più di ieri continuerò a sostenerlo».
Dell’arresto di Ricucci, Anna — impegnata in questi giorni in Toscana per lavoro — ha saputo ieri da suo fratello Sauro, produttore cinematografico. E con lui s’è sfogata: «Spero — conclude l’ex moglie — che le cose si sistemino al più presto e che Stefano possa uscire di prigione».
Regina Coeli, comunque, non è un indirizzo nuovo per lui. «Mi portate in galera per un paio di fatture?», ha detto ieri, quasi meravigliandosi, rivolto ai finanzieri, prima di accomodarsi. Già nell’aprile del 2006 il «furbetto del quartierino» che sognava Antonveneta finì ospite della settima sezione, in via della Lungara, dopo aver ballato un’estate tra l’Argentario e la Borsa. «Maledizione a me e a quando ho deciso di comprare le azioni Rcs, maledetto quel giorno in cui iniziai la scalata», scoppiò in lacrime nella sua cella singola, due metri per tre, del reparto «Nuovi ingressi», davanti all’allora deputato ds Franco Grillini che era andato a fargli visita. Passò quei giorni al buio, senza neanche accendere la tv e con le finestre chiuse per non sentire le frasi di scherno che gli gridavano dalle stanze vicine gli altri detenuti.
Ma poi, per fortuna sua, la luce tornò. E Ricucci riprese a fare la vita di prima, motoscafi e champagne, perché il successo, il lusso, gli son sempre piaciuti. La voglia di arrivare è stata una costante. «A 19 anni mi diceva: “Un giorno mi vedrai al telegiornale perché diventerò importante” — ha raccontato la prima moglie, Linda Imperatori, compagna di studi odontotecnici all’istituto Eastman di Roma —. E per il mio diciottesimo compleanno mi regalò uno smeraldo da 4 milioni di lire pur avendone solo 3 milioni ed ottocentomila sul conto in banca». È da quel giorno, evidentemente, che Ricucci cominciò a osare.
E dopo aver giurato amore eterno alla Falchi si ripetè già nel 2008 con Claudia Galanti, showgirl paraguaiana di programmi tv come «Stranamore». «Quando ho conosciuto Claudia dentro di me è scattato qualcosa», fu il suo annuncio trionfale. E ancora: «A luglio mi sposo». Invece niente. Fuoco di paglia. E allora ecco il nuovo incontro fatale, quello con Natasha Tozzi, figlia dell’Umberto cantautore, di ben 25 anni più giovane di lui. Con serenata davanti a tutti: «Ero convinto di morire single ed ero sereno. Non credevo nell’amore. Non sarei mai e poi mai venuto qui a impegnarmi con i genitori di Nathy — disse Ricucci, agosto 2014 —. Ho voglia di famiglia, di nozze, di un figlio...». Macché.
Nel frattempo mamma Gina (il papà Matteo è morto un anno fa) nella casa di San Cesareo ha continuato a preparargli la parmigiana di melanzane e le lasagne come quand’era ragazzo, nella speranza di tranquillizzarlo. Non ce l’ha fatta.
Paolo Berizzi per la Repubblica«In Italia non puoi fare niente. Qui il successo è un reato. Ormai sto a Londra, ho tutto lì. A Roma vengo solo perché ce sta’ mio figlio…». A chi, negli ultimi due anni, gli chiedeva come e dove se la passasse, gli affari, le operazioni, la finanza che «ho abbandonato, solo piccole cose…», il mattone di lusso, il lusso stesso del quale ai tempi d’oro aveva fatto la cifra dell’immagine patinata da zio paperone in camicia bianca che scalava tutto – donne, jet set, giornali, banche, barche, ville da sogno – Stefano Ricucci rispondeva: «Sto bene nel Regno Unito, altra mentalità, si lavora meglio e non ti uccidono con l’invidia».
Scaltro e ruspante, l’arcitaliano “tradito” dal suo Paese. Rieccolo, nove anni dopo, il “furbetto del quartierino”. Che sarebbe pure frase d’autore se non fosse che l’intuizione gergale romanesca – “Ma che stamo a fa’, i furbetti del quartierino?”, correva l’estate 2005 – in una nemesi linguistica impietosa si è ritorta contro il titolare del copyright: lui, Ricucci. Ce l’aveva con le banche straniere che mettevano le mani su quelle italiane. Da lì in poi, la valanga. Primo arresto nel 2006, adesso ancora. «Sono il vaso di coccio,il più comodo da attaccare», disse a “Repubblica” dopo i tre mesi di carcere a Regina Coeli. E ora? «Mi portate dentro per due fatture?». Barba sfatta, occhiali da sole, t-shirt. C’era una volta un odontotecnico che lavorava svogliatamente nello studio dentistico del padre di un compagno di scuola a Zagarolo, 36 chilometri da Roma. Ma più che ai denti l’uomo pensa al pane. «A 23 anni fatturavo già 6 miliardi». Il primo gruzzolo lo tira su costruendo con un prestito del padre Matteo un piccolo centro commerciale su un terreno di proprietà della madre Gina a San Cesareo. “Ma-gi-ste”, il nome della società di Ricucci, è l’acronimo formato da Matteo, Gina e Stefano. Stefano, l’immobiliarista della porta accanto. L’acrobata che in un vortice complusivo frutta utili e bussa alle banche: compra e vende sulla carta, deposita e munge liquidità, fidi su fidi, e di nuovo acquisti. Ricucci si lega alle banche e le banche si legano a Ricucci. Arriva il tempo delle partite in Borsa, da immobiliarista a finanziere. Nel 2001 il patrimonio vale mezzo miliardo di euro. I paparazzi immortalano il “furbetto” con Anna Falchi, prima di una lunga lista di conquiste femminili a alto tasso gossipparo, che sposerà sontuosamente a villa Feltrinelli all’Argentario.
Nel grande giro della finanza l’ex dentista di Zagarolo sa di essere considerato un parvenue: e si scatena. Nel 2003 inizia a rastrellare azioni Rcs, arriverà al 20,1%, primo azionista del Corsera. In parallelo fa razzia di titoli Mediobanca assieme agli altri “furbetti” tra i quali Danilo Coppola, arrestato di nuovo due mesi fa. Uno dei finanziatori di Ricucci è Giampiero Fiorani, boss della Popolare di Lodi poi Banca Popolare Italiana. L’altra sponda è Consorte, capoccia di Unipol e sopra i tre c’è l’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio. Come finì la storia, si sa. L’altra doveva ancora iniziare e intanto Ricucci faceva spallucce. Testa di legno? Di chi? Berlusconi? Caltagirone? «Dietro Ricucci c’è solo Ricucci», chiosò. Poi via, gli anni londinesi. «Basta, in Italia non faccio più niente». Forse.