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 2016  luglio 21 Giovedì calendario

Donald Trump è il candidato ufficiale alla presidenza degli Stati Uniti del Partito repubblicano, come ha stabilito la convention in corso a Cleveland

Donald Trump è il candidato ufficiale alla presidenza degli Stati Uniti del Partito repubblicano, come ha stabilito la convention in corso a Cleveland. Un esito per niente scontato. Trump ha vinto avendo avuto contro quasi fino all’ultimo il suo stesso partito, che ha tentato in ogni modo di frenarlo o di sostituirlo o addirittura di cambiare le regole del gioco e che ha tentato di farlo fuori ancora lunedì scorso, quando è stata presentata una mozione che, se approvata, avrebbe liberato i delegati dall’obbligo di votare secondo il mandato ricevuto dagli elettori delle primarie. Mozione respinta, ma che rende bene l’insofferenza dei vertici del Partito repubblicano per il vincitore delle primarie. The Donald - come si fa chiamare - ha già parlato durante la convention, contravvenendo alla regola per cui il candidato parla l’ultimo giorno. Ma pronuncerà il suo discorso vero, il cosiddetto «discorso di accettazione», oggi. L’aria è già quella del trionfo.

Però che vinca anche il match con Hillary, mi pare impossibile.
L’esperto di sondaggi del New York Times, Nate Cohen, dà il 67% di probabilità di vittoria a Hillary. Ma altri giudicano i due candidati più o meno alla pari. Soprattutto bisogna considerare che un anno fa Trump non veniva preso sul serio da nessuno. E invece ha rovesciato ogni pronostico. Come negare che potrebbe accadere lo stesso nel confronto con la Clinton, candidata logora la sua parte? All’inizio dell’anno si diceva che Trump sarebbe stato per Hillary l’avversario ideale, con Trump Hillary avrebbe vinto di sicuro, un pregiudizio che era forte anche nella mente dei vertici repubblicani. Sono certo che i capi del partito democratico adesso sono molto preoccupati. Ai giornali Trump non piace, agli intellettuali nemmeno, i circoli culturali lo giudicano un buffone, un energumeno, un malvestito bugiardo matricolato. Eppure...  

Come ha fatto a rovesciare in questo modo i pronostici?
Un uso sapientissimo dei social, che hanno moltiplicato all’infinito i suoi slogan, assai efficaci. Trump conosce bene l’animo di chi dovrebbe votarlo - tra l’altro la sua candidatura ha provocato un aumento significativo dell’affluenza alle urne - e ha lavorato sui sentimenti profondi del ventre americano senza nessun pregiudizio perbenista. No agli immigrati, creazione di posti di lavoro, tariffe sulle merci che provengono dall’estero per difendere le specifictà americane, l’America, umiliata nell’era Obama, torni a primeggiare nel mondo, gli islamici siano resi inoffensivi eccetera eccetera eccetera. S’è anche preso per vicepresidente Michael Richard Pence, che lo copre sul versante importantissimo dei cristiano-evangelici, cioè gli estremisti anti-aborto, anti-matrimoni gay, anti-divorzio... Pence è arrivato al punto di proporre una legge che rendesse obbligatori i funerali dei feti abortiti.  

Cioè, un bigotto. E come può un bigotto star vicino a un tizio pluridivorziato, peccatore inveterato e riconosciuto, star tv e parolacciaro?
Oltretutto di New York, capitale di tutti i vizi. In teoria la coppia non sta in piedi, e infatti durante le primarie Pence ha fatto la guerra a Trump, stando schierato, almeno all’inizio, con l’altro bigotto, Ted Cruz. Ma adesso la vicepresidenza conviene a tutt’e due. Copre a destra Trump e permette a Pence, uomo ambiziosissimo che in politica ha avuto qualche difficoltà, specie agli esordi, di fare il gran salto. Oltre tutto, Pence, ex conduttore radiofonico, verrà utilissimo per massacrare Hillary, alla cui demolizione si è già dedicata la convention di Cleveland.  

Esiste una minima possibilità che le promesse di Trump siano mantenute? E se la risposta è no, come mai gli stanno credendo?
Trump, cosciente che i salari medi degli americani sono fermi da un sacco di tempo, promette di far la guerra alle importazioni, per valorizzare le produzioni americane, imponendo una serie di tariffe doganali, poi vuole tagliare dal 39,6% al 25% l’aliquota fiscale massima, eliminare la tassa di successione e far pagare di tasse alle imprese non più il 35% dei profitti, ma appena il 15%. La Brooking Institution valuta che queste riforme, se applicate, porterebbero a incassi per lo stato più bassi del 20%, qualcosa come novemila miliardi di dollari in meno in dieci anni. Il vantaggio per la gran parte della popolazione non sarebbe superiore al 7% del reddito medio. Inoltre, queste idee di Trump imputano alla globalizzazione la caduta dei posti di lavoro. In realtà il primo avversario della piena occupazione saranno le macchine, in grado di fare una quantità di lavori che fino ad oggi sembravano prerogativa esclusiva degli uomini. Parlo anche di artigianato spicciolo, i barbieri che ti tagliano i capelli o i tassisti apparentemente superflui nell’era in cui le macchine sono guidate dai robot. Però Trump confeziona bene le sue idee improbabili e che di sicuro non entreranno con lui (eventualmente) alla Casa Bianca. E in campagna elettorale conta questo.  

Che mi dice del discorso della moglie di Trump, mezzo copiato da quello che aveva detto Michelle Obama nel 2008?
La responsabile del pasticcio, Meredith McIver, s’è dimessa, ma Trump ha respinto le dimissioni. Meredith lavora con lui dal 2004. Lo scandaletto, su cui i giornali si sono buttati a pesce, non sposterà neanche un voto.