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 2016  luglio 20 Mercoledì calendario

La Trumpeconomy spiegata bene

Alla convention repubblicana si è finalmente parlato di economia, anzi di rilancio dei posti di lavoro e dei salari. Il proposito è nobile, pratico e soprattutto necessario visto che il rischio di uno stallo prolungato dei salari americani e della forte diminuzione del potere d’acquisto della classe media (e ormai medio alta) è il tema più sentito, più forte in queste elezioni.
Diciamo subito che l’approccio di Donald Trump sul piano della comunicazione è stato efficace. Abbiamo visto video che mostrano città e comunità in crisi per la chiusura di una fabbrica e abbiamo ascoltato una serie di oratori proporre un mix che in qualche modo ha tenuto dentro tutto: riduzioni di tasse e persino l’eliminazione della tassa di successione. Trump è favorevole (mentre molti repubblicani tradizionali non lo sono) a importanti progetti infrastrutturali, che metteranno a posto strade e ponti dando allo stesso lavoro agli americani. «Se facciamo le cose per bene potremo creare il più grande boom economico che questo Paese ha mai visto dai tempi del New Deal» ha detto il candidato repubblicano. Sempre in antitesi alle posizioni liberiste tradizionali del partito, Trump è favorevole alla sospensione degli accordi per il libero commercio con l’imposizione di tariffe su molti voci di importazione per proteggere il lavoro “americano”. Trump inoltre vuole mantenere invariati i programmi di assistenza medica per gli anziani e i più poveri.
Trump insomma, offre il sogno del recupero di una condizione economica che oggi non è recuperabile per una ragione molto semplice: il problema vero non è quello della globalizzazione ma quello della meccanizzazione, della robotica, degli avanzamenti tecnologici in ogni campo che consentono a una macchina di fare più rapidamente e spesso meglio il lavoro di un essere umano. Ma frenare sull’innovazione tecnologica non è possibile, imporre una legge che impedisce l’introduzione di una nuova tecnologia non potrebbe mai passare in America, a meno di rischi di sicurezza Nazionale. Molto più facile proporre barriere tariffarie. Trump ha capito che promettere un sogno a un pubblico ansioso e pronto a imboccare qualunque strada purché sia diversa dalla vecchia, funziona. Di più, ha capito che se non entra nei dettagli la sua promessa funziona ancora meglio.
Vediamo uno dei casi in cui il suo piano funziona benissimo dal punto di vista della gratificazione per chi si sente economicamente infelice, ma non funziona per nulla quando poi si deve applicare la proposta alla realtà delle cose. Trump propone una riduzione dell’aliquota più elevata sul reddito dei cittadini dal 39,6% al 25%, propone anche l’eliminazione della tassa di successione e una riduzione dell’aliquota applicata ai profitti societari dal 35% al 15%. Da uno studio della Brookings Institution – ma ce ne sono molti altri, tutti indipendenti sul piano politico – risulta che la riduzione fiscale proposta da Trump si tradurrebbe in una riduzione di 9mila miliardi di dollari di entrate per lo stato in dieci anni, circa il 20% in meno. L’ipotesi di un rilancio dell’economia vecchio stile, con il trickle down di stampo reganiano non funziona più nell’economia moderna. Non solo: per l’1% della popolazione la riduzione porterebbe a un aumento del 17% del reddito netto contro un aumento solamente del 7% per il resto della popolazione. Per non parlare dell’impatto sulla crescita economica mondiale derivante da una chiusura delle frontiere o dall’imposizione di tariffe.
Non c’e’ dubbio che una delle tre grandi sfide che attendono l’America al varco è di natura economica. Ieri avevo menzionato le altre, quella per la rappacificazione interna e per il recupero di credibilità di ledership internazionale. Ma alla fine è sull’economia che si giocano le elezioni. Ma il problema va risolto in modo diverso. La sfida tecnologica presto metterà a rischio anche lavori che non sembravano esportabili. Anni fa si diceva: il tassista o il barbiere non sono lavori esportabili dunque non sono a rischio. Oggi ci si accorge che sono a rischio pur non essendo esportabili: presto ci dicono i futurologi ci saranno robot in grado di memorizzare il taglio di capelli perfetto per ciascuno di noi e ci saranno taxi che verranno a prelevarci a casa senza autisti, guidati da un cervello elettronico. Questo per dire che oggi le sfide ci sono eccome, ma sono altre e non sembrano purtroppo esserci delle facili soluzioni. Ma troppo spesso in politica vale il contrario della razionalità, una promessa ben fatta, uno slogan ben detto come : «Rimetteremo le cose a posto», vale molto più di un piano serio per ottemperare a problemi che a volte sembrano insormontabili. E in questo, bisogna ammetterlo, Trump è maestro, a volte gli basta soltanto alzare il pollice destro per conquistare un’ovazione. Come è successo ieri notte qui a Cleveland, quando la sua piattaforma, controversa perché su temi sociali ha spostato indietro molte lancette per l’emancipazione civile, ha conquistato i cuori dei delegati e di milioni di altri americani con la semplice promessa di riportare l’America alla sua antica grandezza.