ItaliaOggi, 20 luglio 2016
La mostra di David Bowie? 20 euro molto ben spesi
È uno dei tanti esempi di eventi artistici internazionali, ciò che l’Italia fatica a realizzare. Invece il Victoria and Albert Museum di Londra ha approntato una mostra dedicata a David Bowie e al suo eclettismo. Partita dalla capitale inglese (nel 2013) ha fatto il giro del mondo (nel frattempo l’artista è scomparso, a New York nel gennaio scorso, a 69 anni) e ora finisce la tournée europea (il prossimo anno sarà in Giappone) in Italia, ospitata da pochi giorni dal Mambo, il museo d’arte moderna di Bologna (fino al 13 novembre, 20 euro il biglietto d’ingresso, chiusura il lunedì), e già un successo di pubblico.
Incominciata per celebrare la sua verve artistica, si trasforma in un tributo postumo.
Con l’occasione è partita un’operazione-Twitter, con l’hashtag #OmaggioABowie, per condividere lo spirito di un artista che ripeteva: «l’arte non ha bisogno dell’autorità di chi l’ha creata, perché l’arte non è alto che molteplicità di sguardi».
Il costo dell’evento è di oltre 350 mila euro. I contenuti multimediali conducono il visitatore all’interno del processo creativo del Duca Bianco e descrivono come il suo lavoro abbia canalizzato varie esperienze: dal design al teatro dalla musica al cinema, col leitmotiv della cultura pop. Del resto lui sottolineava che: «Il rock è la più importante espressione artistica di questo secolo.
Ma io amo anche creare i personaggi, la narrativa, gli scenari. Così sono attratto da più direzioni allo stesso tempo, e cercare di tenere tutto in equilibrio nella mia mente è un lavoro maledettamente difficile».
Sono stati selezionati 300 oggetti dell’archivio personale del musicista: manoscritti, spartiti, costumi originali (compreso quello di Ziggy Stardust), fotografie, disegni, set ricostruiti, filmati.
La parte più interessante è la terza: coi video dei suoi concerti tra i costumi di scena e gli arredi (tra i quali quelli che hanno fatto storia, creati per il Diamond Dogs tour del 1974, da lui disegnati). Poi le ballate spaziali e le incursioni sul set, ma anche disegni e quadri. Fino allo splendido testamento musicale di «Blackstar».
D’altra parte si deve a lui se i palcoscenici del rock hanno incominciato ad avere scenografie apocalittiche e un’estetica decadente e futurista con richiami all’arte di strada dei mimi e dei clown.
Dicono i curatori della mostra, Victoria Broackes e Geoffrey Marsh: «È stato capace di osservare e reinterpretare la società contemporanea con uno sguardo innovatore lasciando tracce indelebili».
La rassegna sorvola sugli aspetti più eccentrici della vita di Bowie, spesso dettati da esigenze mediatiche e di marketing. Sì, anche le rockstar sono sensibili al marketing: l’involucro, la forma, la moda, servono a mandare un messaggio, a parlare per simboli e segni, alla base però deve esserci un messaggio, un preciso intento comunicativo. E Bowie aveva i suoi messaggi, i suoi contenuti, e un estro strabiliante per veicolarli. Non a caso ebbe un rapporto di stima, anche se burrascoso, con Andy Warhol.
Inoltre si omettono talune polemiche.
Disse, per esempio, di Sting: «Non sono fatto per il realismo, per gli slogan. Preferisco lasciare questo compito a Sting. Ho poca simpatia per l’umanità. Si è giustamente tentato di cambiarla, io penso che sia fatica sprecata. Sono troppo egoista per coinvolgermi».
Ma la mostra non ha finalità critiche bensì elegiache, il cantante è proposto come indiscusso artista poliforme e per questo l’evento è ospitato in un museo (pubblico) d’arte moderna, accanto ai quadri di Roberto Sebastian Matta, Alberto Burri e Giorgio Morandi. Giusto? Forse.
Una stima ha valutato la produzione di Bowie in circa 720 canzoni, per un totale di oltre 145 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Lui, figlio di una cassiera di cinema e di un reduce della seconda guerra, cresciuto in Inghilterra, nel Kent, dopo tanta fatica per affermarsi, nel 2007 fu indicato dalla rivista Forbes come il quarto cantante più ricco al mondo. La sua eredità (230 milioni di dollari) è stata divisa tra i familiari, la segretaria (da 30 anni con lui) e l’ex-governante.
A compendio di questo itinerario museale lungo la vita e la carriera di Bowie, una sua frase significativa, quasi una confessione: «È da quando sono nato che cerco un’identità. Credo solo nelle mie azioni. Rinnego sempre il passato, vivo per il futuro. Penso di essere il peggior nemico di me stesso».