Corriere della Sera, 20 luglio 2016
Perché i robot ci piacciono tanto
La parola robot venne coniata nel lontano 1920 dallo scrittore Karel Capek. In effetti i robot sono tra noi da così tanto tempo che non ci facciamo più caso, tranne quando compiono imprese straordinarie quali l’esplorazione di altri pianeti o, come l’italiano R1, si propongono di rivoluzionare le nostre vite. Se nessuna persona di buon senso può pensare di interagire con un robot aspirapolvere, R1 è abbastanza umano da far sì che uno non si senta ridicolo dandogli ordini a voce. Difficile dire se diventerà davvero un prodotto di successo o se si rivelerà uno dei tanti rami secchi della tecnologia, come il Segway, la biga tecnologica che doveva invadere il pianeta e invece è rimasta poco più di una curiosità di nicchia. Dopo aver cresciuto due adolescenti, personalmente sono molto tentato dall’idea di avere per casa qualcuno che mi ascolti sempre e faccia ciò che gli dico senza discutere. E poi mi sono innamorato dei robot domestici vedendo L’uomo bicentenario, diretto nel 1999 da Chris Columbus e tratto da un racconto di Asimov. Il robot interpretato da Robin Williams divertiva e commuoveva, mostrando i legami che possono crearsi tra umani e creature meccaniche. È un mondo nuovo, quello che ci aspetta. I robot ci puliranno casa, faranno la spesa, accudiranno gli anziani. Non c’è limite al loro potenziale. Ma non vorrei che ad aver visto più lontano di tutti fosse lo scrittore di fantascienza Ron Goulart, che immaginava un futuro in cui i robot hanno tolto il lavoro agli umani, salvo poi, quando rimangono disoccupati a loro volta, mendicare un circuito di ricambio...