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 2016  luglio 20 Mercoledì calendario

Intanto il verbo di Trump corre su Facebook

Chi ha detto che Donald Trump ha uno staff inadeguato e una campagna male organizzata? Chi può pensare che sciocchezze da convention come il discorso copiato di sua moglie influenzino il voto? Qualche politico vecchio stile, qualche pundit dei giornaloni, e tutti quelli che non si accorgono del lato oscuro/molto visibile/davvero importante della sua campagna. Sul Web, sui social network; cruciale, sottotraccia. Opera, diciamo, di precari senza legami ufficiali con lo staff. Del candidato stesso, che twittando aggressivamente ha sconfitto avversari che spendevano milioni in spot tv. Di strani personaggi con decine di account Twitter che Trump ritwitta: permettono di diffondere messaggi razzisti o violenti più o meno in codice e poi di liquidarli come una distrazione del candidato. Di star trumpiane di YouTube, di pagine Facebook seguite da milioni di persone. Di armate di troll – se ne possono assumere – che diffondono online «conspiracy theories» come quelle ideate dallo storico consulente di Trump Roger Stone (omicidi commissionati da Hillary, ecc.) e dal conduttore radiofonico Alex Jones (convinto che il governo americano sia responsabile dell’11 settembre, della bomba di Oklahoma City e dell massacro di bambini a Sandy Hook). Stone e Jones si sono appena visti dal vivo a Cleveland, hanno arringato il raduno Citizens for Trump. Circa duemila persone, i Bikers for Trump come servizio d’ordine, gli oratori che suggerivano vicinanza a Trump. E parlavano molto di Hillary Clinton, «una criminale squilibrata». «E un rettile!», hanno suggerito dal pubblico; non di delegati di partito, di abitanti dell’Ohio, bianchi, impoveriti, arrabbiati, di quelli che incontri fuori dalla zona della convention e ti ripetono come un mantra frasi sui crimini di Hillary, la piaga islamica, l’America zona di guerra. Ignorano i talking points elettorali repubblicani (alla convention del candidato nazionalista populista Trump, tutti fanno discorsi iperliberisti); citano le teorie e gli insulti che girano sui social, e solo quelli. Ed è quella, di fatto, la piattaforma anti-establishment popolare in regioni ignorate e tra la ex classe media sfiduciata. Molti messaggi partono da siti ultrà, Breitbart, Gateway Pundit, Conservative Treehouse, Truthfeed. Vengono diffusi anche su YouTube (molto amate da Trump sono Diamond and Silk, donne e nere). Ma soprattutto su Facebook; per dire, dalla pagina Donald Trump for President di Sahn Oryavong, seguita da un milione e 200 mila persone, con 80-90 post al giorno e una media di 1.600 like. E su Twitter da personaggi come Richard Flint, cinquantenne dai multiformi account sempre ritwittati da Trump. È suo il meme – anche quello condiviso dal candidato – su Hillary «candidata più corrotta» scritto dentro una stella di Davide (c’è una stella di Davide anche sulla i di varie magliette e cartelli «Hillary for Prison», a Cleveland; l’islamofobia trumpiana sta sdoganando l’antisemitismo, sempre sottotraccia, ma sta succedendo).