la Repubblica, 20 luglio 2016
La radicalizzazione istantanea, sul serio?
Per l’attentatore di Nizza o il protagonista dell’attacco con l’ascia contro i passeggeri del treno in Baviera, i ministri degli Interni francese e tedesco parlano di «radicalizzazione istantanea». Formula consueta, ormai, per indicare quanti, sfuggiti agli occhiuti sguardi di servizi o polizie, non erano ritenuti potenziali jihadisti. Definizione, quella della instant radicalitazion, che evoca l’inevitabile fallimento della prevenzione in un ambiente che si dilata e restringe senza troppa razionalità e la possibilità, per individui sino al momento del loro eclatante gesto lontani da ogni forma di militanza politica o religioso, di rifarsi a un’ideologia prêt-à-porter. Spesso sono solitari che diventano lupi; altre volte individui votati all’eccesso che nella stragista azione suicidaria cercano un impossibile riscatto.
Ma al di là della semantica occorre ricordare, anche in questi casi, che la radicalizzazione ha un carattere processuale. Perché avvenga occorre che una serie di fatti e fenomeni sociali legati tra loro, o interpretati come tali, producano un mutamento che investe progressivamente l’individuo. La radicalizzazione non si manifesta improvvisamente: se non agli sguardi esterni che colgono il fenomeno quando i suoi effetti sono già drammaticamente irreversibili: in particolare per le vittime. Il percorso che conduce a quell’esito apparentemente improvviso avviene in tempi più lunghi. Perché rinvia alle motivazioni profonde dell’individuo, che si innescano quando questi incrocia avvenimenti storici che hanno funzione catartica. Perché si produca radicalizzazione occorre, infatti, che una traiettoria personale interagisca con un ambiente favorevole e una particolare contingenza storico- politica.
I radicalizzati istantanei, oggi, non devono più fare un lungo percorso di pedagogia politica. Non devono passare, necessariamente, attraverso gruppi, organizzazioni, moschee radicali, esperienze belliche. Il fai-da-te in Rete e l’aria che respirano, dai conflitti in corso al risentimento che nutrono persino nei confronti dei paesi che li hanno accolti, sono sufficienti per innescare il loro mortifero desiderio di distruzione e autodistruzione. Così quando appaiono, in una sorta di cruento e impari Duel islamista, in un’area pedonale affollata o nel compartimento di un treno gridando «Dio è grande!», è troppo tardi per fermarli.