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 2016  luglio 20 Mercoledì calendario

Un anno fa la scena della Merkel con la piccola palestinese in lacrime

È il primo attentato grave compiuto da un profugo arrivato da poco, approdato in Europa con gli esodi biblici delle guerre mediorientali e asiatiche degli ultimissimi anni. Ed è il primo attacco eseguito a freddo da un minorenne. Quasi una nemesi, per Angela Merkel. In questi giorni ricorre l’anniversario dell’incontro con la bambina palestinese che pianse per la freddezza con cui la cancelliera le stava spiegando che un respingimento è un respingimento e che non avrebbe potuto scampare al suo destino. Chi la conosce bene, racconta che l’indignazione che quell’episodio scatenò in tutto il mondo la fece riflettere. Contribuì alla svolta sui profughi, alla sua”umanizzazione” che si percepì poco dopo, quando annunciò che non avrebbe mai tollerato un tetto agli arrivi. Una decisione che aprì la più grave crisi di Merkel col suo partito e con il Paese, rientrata a fatica durante l’inverno, anche grazie agli accordi europei e agli strappi e ai muri austro- balcanici che hanno frenato i flussi. Ma che ha anche aumentato la tensione con molti partner europei, quando i profughi sono diventati il principale argomento politico delle destre populiste.
Ieri, responsabilmente, il governo tedesco ha fatto quadrato, almeno nelle dichiarazioni pubbliche. Ma la prima reazione all’attacco di Würzburg non è venuta da Merkel. «È il gesto di un singolo, a quanto sembra. Un incidente tragico, un atto di violenza»: è stato Peter Altmaier, il capo della cancelleria cui Merkel ha voluto un anno fa affidare la delega sui profughi, a incaricarsi di esprimere la posizione del governo. Il passaggio più importante, però, è quello dove il politico Cdu formula quasi un appello: «Mi auguro che si riconosca che un caso singolo non può discreditare un gruppo di migliaia di persone».
Un concetto illustrato ancora meglio dal ministro dell’Interno bavarese, Joachim Herrmann (Csu), che ha avuto ieri il compito di aggiornare i media sugli sviluppi delle indagini. La Baviera, il Land di passaggio dove è arrivata la stragrande maggioranza del milione di rifugiati del 2015. si è scontrata spesso con Merkel e con la sua politica sui profughi. Il governatore e capo della Csu, Horst Seehofer, ha chiesto un limite agli arrivi e ha minacciato a più riprese di blindare le frontiere e respingere i richiedenti asilo al confine. Ieri il suo ministro dell’Interno ha invece rimbalzato ogni tentativo dei cronisti di aprire una nuova crisi: «Certo che sono per un tetto ai profughi, ma non stabiliamo dei collegamenti con questo caso, lo trovo inopportuno». Sono le stesse parole usate da molti politici, giustamente, anche dopo i fatti di Colonia, per non creare le psicosi che si percepiscono ormai in Paesi dove la destra sta trionfando proprio facendo leva su casi di cronaca come l’Austria.
Ma in prospettiva quella della gestione dei profughi resta una sfida sempre più complicata, per Merkel. Anche perché le sta venendo meno un alleato fondamentale, sul fronte della riduzione degli arrivi: il presidente turco Erdogan, avvitato in una spirale autoritaria ormai irrefrenabile. E anche a Berlino, nei giorni successivi al putsch, sono riemerse le spaccature nel partito di Angela Merkel e con l’alleato di governo della Spd che erano sparite negli ultimi mesi. Insomma, se sull’attentato il buon senso di non approfittare cinicamente di un fatto gravissimo ha avuto il sopravvento, i suoi avversari la stanno picconando sui suoi rapporti con Ankara. Ed è evidente che si tratta di due facce della stessa medaglia.