Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 20 Mercoledì calendario

A Cleveland, tra i bikers di Trump

La grande adunanza ha inizio con la preghiera. Un manipolo di bandane a stelle e strisce e gilè di pelle marchiati con aquile e fregi militari si stringe in cerchio con i volti verso l’alto: «Onore ai nostri caduti». Il raccoglimento è in memoria dei poliziotti uccisi nei giorni scorsi, e di tutti gli uomini e le donne in divisa che hanno perso la vita servendo la patria. Poi il «rompete le righe»: c’è chi riprende in mano la pinta, chi si risale in sella e chi torna a manifestare il proprio dissenso. Siamo al Rock-N-Roll City Harley Davidson, rivenditore di moto e chopper ai margini di Cleveland, ma anche locale per concerti e bevute di gruppo. 
Per la Convention repubblicana è divenuto il «ground zero» dei «Bikers for Trump», il movimento di motociclisti che sostiene il candidato del Grand Old Party e che, nel corso delle primarie, gli ha fatto da angelo custode. «Ci consideriamo una sorta di ausiliari della legge», spiega Chris Cox, fondatore e presidente del movimento che si è investito della funzione di «back-the-badge», sostenere le forze dell’ordine. Una sorta di milizia di centauri che veglia sul tranquillo andamento dei lavori. C’è chi li considera, seppur dalla porte opposta dell’emiciclo politico-sociale, come i gruppi radicali neri. 
«Non ci parlate di Black Lives Matter o ancor peggio di Pantere nere – avverte Cox -. Noi non vogliamo accoppare i poliziotti, vogliamo collaborare con loro». Sono oltre mille i «bikers for Trump» confluiti nella città dell’Ohio per la kermesse, alcuni di loro sono armati, ma la gran parte non lo fanno vedere. «Il capo della polizia ci ha chiesto di sospendere l’open carry, abbiamo accettato in segno di rispetto», racconta Cox in riferimento alla legge che consente di fare sfoggio di fucili e pistole. Sembrano evocare tempi lontani, ironia della sorte gli stessi delle Pantere nere, la fine degli Anni Sessanta, quelli degli Hell’s Angel, il gruppo di bikers poi dichiarato fuorilegge. I moderni «easy rider» si definiscono un «gruppo paraformale» dalla parte della Legge. 
«Noi non siamo e non vogliamo essere paragonati a provocatori», prosegue il numero uno. La tempra è quella del soldato, il carisma del leader, non a caso Trump lo ha voluto sul palco della Q-Arena. Il 70% dei motociclisti del tycoon ha un passato nelle forze armate: «La nostra esperienza militare ci serve a impedire a qualcuno di guastare la festa», spiega Steve, barba stile «Duck Dinasty» che fa da cornice a un paio di occhialoni specchiati. Ha guidato per 700 chilometri con la sua Harley nera ed ora è pronto a rigenerarsi con una bionda alla spina. Altri come Joshua hanno cavalcato la due ruote per molto più tempo, quello necessario per arrivare dal Montana. «Sono preoccupato per la nostra società, per il nostro Paese per i principi su cui è fondato e per il suo futuro – dice – Ci sono persone come Malik Shabazz ex capo delle Nuove Pantere Nere che invoca la violenza e parla di piombo ai poliziotti o Black Lives Matter che vuole bloccare la Convention». Ma la loro presenza non rischia di esacerbare gli animi? «La nostra prima arma è la diplomazia. Siamo prima di tutto un muro di carne che protegge chi è in pericolo, se le cose precipitano ci attiviamo», ci dice Reggie, biker di Harrisburh, Pennsylvania, mentre al telefono detta le coordinate. Sta parlando con alcuni colleghi di «Patriot Guard Riders» e «Defenders For Liberty» altre due formazioni di centauri col debole per Trump, radunati tra lo Smedley’s Bar e il Lion’s Pub, altri due ritrovi a tema di Cleveland. L’appuntamento è nei pressi della Q-Arena dove è in corso un’iniziativa del movimento trumpiano «America First». «Andiamo a vedere di che si tratta, non è obbligatorio manifestare», dice Rocky di «Trucker for Trump». 
«Stasera si parla di economia alla Convention, allora statemi a sentire: io pago 5 mila dollari al mese di pedaggio stradale per ogni mezzo, i messicani non sono tenuti a farlo, io avevo 10 camion ora ne ho la metà, ci stanno mandando in bancarotta». La lezione sul libero scambio sottintende un disagio comune anche ad altre categorie. «Io sono qui, noi siamo qui, per rappresentare patrioti e veterani americani – ci dice Pocket, biker col soprannome ereditato dalle missioni del primo Iraq -. Si può essere contrari alla guerra, ma non si può dimenticare chi l’ha combattuta».