La Stampa, 20 luglio 2016
Melania ha copiato il discorso di Michelle. La convention di Cleveland tra plagio e polemiche. Un déjà vu
Mentire, e circondarsi di incompetenti. I due peccati originali che Donald Trump rimprovera a Obama e Hillary Clinton, su cui ha costruito la campagna presidenziale, si ritorcono ora contro di lui.
Perché sua moglie Melania, nel discorso centrale dalla prima giornata alla Convention repubblicana di Cleveland, ha copiato alcune frasi pronunciate da Michelle Obama nel 2008. Plagio, colpa gravissima per gli americani, a cui si aggiunge il cover up della campagna che cerca di negarlo.
Lunedì sera Melania è salita sul palco introdotta da Donald, per raccontare la sua storia di immigrata (legale) dalla Slovenia, e presentare il lato più umano del marito. Jarrett Hill, giornalista televisivo disoccupato di 31 anni, stava ascoltando il discorso dentro uno Starbucks, quando una frase ha attirato la sua attenzione: «Strength of your dreams», la forza dei tuoi sogni. Hill, che è nero e vive a Los Angeles, aveva già sentito quelle parole dalla bocca di Michelle. Quindi ha fatto una rapida ricerca in rete, e ha scoperto che intere frasi del discorso di Melania erano state copiate da quello della first lady. In un momento la fama, aiutata dalla campagna di Clinton, ha iniziato a correre, raggiungendo tutti gli angoli del globo. Così ha rovinato la prima serata della Convention, che doveva demonizzare Hillary per le menzogne sull’assalto al consolato di Bengasi, e ripresentare Donald agli americani attraverso le parole della moglie.
Verso le due del mattino, pressato dai media, il portavoce della campagna Jason Miller ha emesso un comunicato in cui diceva che Melania nel suo discorso aveva «incluso frammenti» pronunciati da altri. La mattina dopo, però, il manager della campagna Paul Manafort si è presentato davanti ai giornalisti per smentire tutto: «Sono poche parole, all’interno di un lungo discorso, e sono personali per lei». La vera colpevole è un’altra: «Hillary Clinton, quando vede una donna che la minaccia, la distrugge».
La versione di Manafort, assunto da Trump al posto del manager iniziale Corey Lewandowski proprio per gestire la Convention in maniera professionale, non ha convinto molto. Il presidente del Partito, Priebus, ha detto che «se il plagio fosse confermato, probabilmente licenzierei l’autore del discorso». Karl Rove, guru elettorale di George Bush, è andato anche oltre: «Io non lo licenzierei: lui dovrebbe capire da solo che deve dimettersi. Ora». Siccome la vendetta è un piatto da consumare freddo, Lewandowski ha alzato il tiro contro il suo successore: «Se Manafort ha letto quel discorso, dovrebbe andarsene».
Il plagio negli Usa è un peccato mortale, al punto che nel 1988 un episodio simile costrinse Joe Biden a chiudere la sua campagna presidenziale. Melania non è il candidato, ma aveva detto ai media di aver scritto da sola il discorso: o ha raccontato una bugia, oppure ha copiato Michelle, senza citarla. L’opzione più logica è la prima, e l’errore probabilmente è stato fatto dallo staff: il testo è stato scritto da Matt Scully, dipendente a contratto della campagna, poi ritoccato da Melania con l’aiuto della multinazionale Trump Organization. Questo è un guaio serio, e non solo perché dimostra il dilettantismo della campagna di Trump, che si vanta di avere molti meno assistenti di Hillary. Lui infatti sostiene di essere pronto a gestire l’America perché si circonda dei migliori talenti, mentre Obama e Clinton si affidano a incompetenti. La gaffe del plagio però lo smentisce. Donald poi dice che Hillary non può fare il presidente perché racconta bugie, come nel caso di Bengasi. Mentire su una battaglia in cui sono morti quattro americani è diverso che farlo sul plagio di un discorso, ma il risultato è comunque diminuire la forza dell’argomento principale usato contro l’ex segretaria di Stato.
Nei corridoi della Convention di Cleveland, poi, gira una voce ancora più preoccupante, secondo cui il plagio sarebbe una polpetta avvelenata. La campagna ha avuto vari contrasti interni, culminati col licenziamento di Lewandowski, accusato di essere troppo duro con dipendenti e famigliari. In realtà Corey avrebbe perso il posto per la relazione con la portavoce Hope Hicks. Il collega Sam Nunberg lo aveva scoperto e voleva denunciarlo: per questo Trump lo ha cacciato facendogli causa per 10 milioni di dollari. Poi però ha licenziato anche Lewandowski, che ha lasciato indietro diversi assistenti fedeli a lui. Magari qualcuno di loro ha infilato le frasi rubate nel discorso, per fare lo sgambetto a Manafort? Donald è infuriato, ma non vuole chiedere scusa o cacciare il nuovo manager. Arrivare alla Casa Bianca così, però, diventa complicato.