La Stampa, 19 luglio 2016
Amundsen e Nobile, i due amici rivali che volevano conquistare il Polo Nord
Non ci sono foto di Roald Amundsen sorridente. Persino in tarda età, quando la fama che il grande esploratore norvegese aveva conquistato gli avrebbe consentito di rilassarsi un poco, il suo sguardo rimase severo, l’aria sempre assorta e determinata. Si dice che la sua ossessione per organizzare ogni avventura in modo perfetto sfiorasse la paranoia. L’avventura in realtà per lui non esisteva, era solo cattiva pianificazione. Non esistevano nemmeno fortuna o sfortuna, ma solo cose ben fatte o mal fatte. Nato nel 1872, sarebbe dovuto diventare medico, ma nessuno avrebbe considerato rassicurante farsi curare da qualcuno con quel cipiglio: se vi ammalate, avrebbe sicuramente detto Amundsen ai suoi pazienti, è solo perché non organizzate la vostra vita come dovreste.
Voleva andare a piedi al Polo Nord, ma aveva rinunciato perché l’americano Robert Edwin Peary ci era arrivato prima, nel 1909. Non è certo che Peary l’abbia fatto davvero, ma lo disse e gli credettero. Visto che di poli la Terra ne ha due, Amundsen si era dunque concentrato sull’altro. La sua competizione del 1911 con la spedizione dell’inglese Robert Falcon Scott è ancora oggi studiata nelle facoltà di Economia per rendere semplice la comprensione dell’ottimizzazione delle risorse.
Lo sponsor americano
Scott partì con 17 uomini e una tonnellata di rifornimenti; Amundsen con 52 husky, 5 uomini e 3 tonnellate di rifornimenti; Scott marciava solo quando il tempo era bello, sfinendosi; Amundsen avanzava di 15 miglia ogni giorno, con ogni tempo; Scott aveva poche riserve di cibo e se non raggiungeva un deposito restava senza; Amundsen aveva cibo a volontà e meno uomini da sfamare. Amundsen arrivò per primo al Polo Sud, il 14 dicembre. Scott arrivò un mese dopo, e morì con i suoi uomini sulla strada del ritorno.
Niente deve essere stato più strano dell’incontro di un uomo così determinato, freddo e meticoloso con un altro eroe dell’epoca, molto diverso da lui. Umberto Nobile era nato nel 1885 a Lauro, in provincia di Avellino dalla blasonata famiglia Delle Piane, privata del titolo dai Savoia perché rimasta fedele ai Borbone: a ricordo dell’antico lignaggio era rimasto il cognome Nobile, e pochissimo altro. Dopo la laurea a Napoli in ingegneria, Umberto era finito nell’esercito e poi nell’aviazione a progettare dirigibili, il mezzo di trasporto del futuro. Amundsen, dopo il Polo Sud, voleva ora sorvolare quello Nord, ma con gli aerei non c’era riuscito. Nobile aveva appena realizzato il nuovo modello N1: 106 metri di lunghezza, 26 di larghezza, tre motori che lo spingevano a 115 chilometri orari; sarebbe bastato rinforzarlo un poco a prua e a poppa per adattarlo a una spedizione polare.
Si incontrarono nel 1925 a Oslo, e il comune entusiasmo per il progetto impedì forse di chiarire subito le cose. Nobile era convinto di fare parte della spedizione a pieno titolo, ma Amundsen giudicava questa pretesa eccessiva. L’idea era stata sua, i soldi li aveva trovati lui grazie al finanziatore americano Lincoln Ellsworth, ed era l’Aero Club norvegese a patrocinare l’impresa. Anche se il governo di Mussolini pagava il 25% delle spese, Nobile era solo il progettista del mezzo, l’autista che lo avrebbe guidato, niente più che un dipendente.
«Un circo nel cielo»
Il dirigibile Norge, battezzato così in onore della Norvegia, partì da Ciampino il 10 aprile 1926 per un viaggio di avvicinamento che toccò Pulham Market in Inghilterra, Oslo, Leningrado, Vadso e infine la Baia del Re (Ny-Ålesund) alle isole Svalbard, raggiunta il 7 maggio. A bordo, Nobile si comportava come se fosse il comandante non solo dei cinque tecnici italiani che aveva portato con sé, ma anche dei norvegesi e di Ellsworth. Amundsen era furibondo: questi italiani, diceva, «hanno portato nel cielo il carro di un circo», compresa Titina, la cagnetta di Nobile, il quale «evidentemente crede di essere a casa sua». Partirono per l’ultima tappa l’11 maggio alle 9,55 e arrivarono sulla verticale del Polo all’1,25 della mattina del giorno dopo. Amundsen forse accennò a un sorriso, ma se ne pentì subito quando vide che la bandiera italiana che Nobile stava lanciando sul pack, dopo quelle norvegese e americana, era la più grande di tutte.
A Longyearbien, l’unica cittadina delle Svalbard, c’è un bel museo gestito da un italiano, Stefano Poli, dedicato alle spedizioni polari. Nelle teche sono conservati con amore anche estratti del libro di bordo del Norge. In un foglio, dove è annotata la latitudine di 90° Nord, c’è la scritta «Polo!», forse vergata proprio dal comandante Nobile. Il Norge quella notte proseguì per l’Alaska, fu costretto ad atterrare dal maltempo e rimase così danneggiato che fu riportato a pezzi in Italia. Amundsen era furioso contro quel circo di italiani con il quale aveva viaggiato, e non parlò mai più con Nobile. Ma sotto la sua scorza dura c’era un gentiluomo di altri tempi, che due anni più tardi non avrebbe esitato ad alzarsi in volo, perdendo la vita nel mare di Barents, per andare in soccorso del suo amico-nemico Nobile, precipitato sul ghiaccio con il dirigibile Italia.
Il nome di Amundsen è stato dato a un ghiacciaio, a un cratere lunare, a un tratto del Mare Antartico, a un asteroide e a una stazione polare. Nobile è stato ricordato con minore generosità: non solo ha fallito la sua spedizione, con il dirigibile Italia, che avrebbe dovuto essere la risposta al Norge, ma ha anche accettato di essere portato in salvo per primo, abbandonando i suoi uomini. Un pilota era stato ingaggiato dalla compagnia di assicurazione, che temeva di dover pagare un considerevole risarcimento nel caso il comandante non fosse sopravvissuto.
Comandante costituente
Ma anche Nobile ci ha lasciato qualcosa di importante. Eletto in Parlamento nelle file del partito comunista di Togliatti, è stato uno dei padri costituenti, e si dice che abbia scritto, o almeno ispirato, le poche righe dell’articolo 9 della Costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio artistico e storico della Nazione». Pure in questo caso il Comandante ha avuto poca fortuna, visto che il suo è l’articolo più disatteso da ogni governo.