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 2016  luglio 19 Martedì calendario

I giochi sporchi di Sochi. Il Cio oggi dovrà decidere se escludere da Rio tutta la Russia, con tutti i suoi sport, non solo l’atletica

Servizi segreti, provette manomesse, laboratori gestiti direttamente dallo stato che dava ordine di cancellare la prova del reato. Il doping come metodo, anzi la sparizione della positività dei propri atleti come metodologia cardine di Mosca. The Disappearing Positive Methodology: non solo alle Olimpiadi invernali di Sochi 2014. E non solo nell’atletica. Accuse pesantissime nel rapporto McLaren, l’avvocato canadese cui la Wada, agenzia antidoping, ha commissionato l’indagine sull’affaire doping e Russia. Una sberla a Mosca, a due settimane dalle Olimpiadi in Brasile. Nel giorno della chiusura delle liste per i Giochi. Il Comitato olimpico internazionale oggi dovrà decidere se escludere tutta la Russia, tutti i suoi sport non solo l’atletica, da Rio. Il presidente del Cio Thomas Bach: «Scioccante e inedito attacco all’integrità dello sport e dei Giochi Olimpici. Non esiteremo a prendere le più dure sanzioni contro ogni individuo o organismo implicato». Convocato d’urgenza un esecutivo telefonico che «potrebbe includere misure provvisorie e sanzioni per Rio. Il Comitato olimpico studierà con attenzione queste complesse e dettagliate accuse».
Il remake drogato di una Guerra Fredda. La Wada ha già preso posizione: la Russia stia lontana da tutti gli eventi sportivi internazionali dice il suo presidente, Craig Reedie. Il presidente Putin reagisce: «Pericolosa l’ingerenza della politica nello sport. La forma di questa ingerenza è cambiata, ma l’obiettivo è lo stesso: fare dello sport uno strumento di pressione geopolitica». Poi però annuncia: «I funzionari russi accusati nel rapporto Wada sono stati sospesi per l’intera durata dell’inchiesta. Non c’è posto per il doping nello sport. La Russia è pronta a cooperare». Poi il Cremlino annota: «Le accuse sono basate sulla testimonianza di un solo uomo». McLaren lo smentisce: nel suo report di 97 pagine compilate in 57 giorni di inchiesta, ci sono prove, esami scientifici e forensi, microscopi e testimoni a sufficienza per inchiodare Mosca all’evidenza: dalla fine del 2010, la Russia si è prodigata coinvolgendo i vertici del ministero dello sport e dell’ex Kgb, perché i suoi campioni drogati continuassero a competere come fossero “puliti”. Non tutti, ma quelli che il ministero dello sport decideva di coprire. Almeno 312 atleti, di tutti gli sport. Ai Giochi di Londra 2012, ai mondiali di atletica a Mosca 2013, a quelli di nuoto 2015 a Kazan. Metodo Russia, che nel 2018 ospiterà i mondiali di calcio.
Mosca colpevole «oltre ogni ragionevole dubbio». L’avvocato McLaren, a capo di una commissione indipendente, spiega: «Il tempo a nostra disposizione era molto compresso, siamo stati costretti a selezionare solo una parte dell’enorme quantità di dati raccolti. Abbiamo toccato solo la superficie di una materia che è a disposizione per ulteriori approfondimenti ma che non alterano la sostanza: a capo del sistema di falsificazione dei test antidoping per gli atleti russi, tra 2010 e 2015, c’era il ministero dello sport di Mosca col viceministro Yury Nagornykh, con la collaborazione dei servizi di sicurezza (l’Fsb, ex Kgb), dell’antidoping di Mosca (Rusada) e del centro nazionale di preparazione del Team Russia». Confermate le denunce dell’ex direttore del laboratorio antidoping russo, responsabile a Sochi, Grigory Rodchenkov, costretto alle dimissioni dopo le indagini sull’atletica e fuggito negli Stati Uniti a novembre scorso dopo la morte in circostanze poco chiare di due colleghi. Lui stesso ha detto di essere scappato temendo per la sua vita. Rodchenkov è stato testimone chiave del rapporto McLaren, ma molti altri, in forma anonima, hanno collaborato. «Attendibile», ha sottolineato il professore di diritto sportivo canadese.
Il narratore del “metodo del positivo scomparso” è proprio Rodchenkov: agli Invernali di Sochi, come già raccontato in un’inchiesta del New York Times, gli agenti dell’Fsb avevano ideato un metodo per aprire «senza lasciare tracce visibili ad occhio inesperto» i tappi delle provette, fabbricati in Svizzera dalla ditta Berlinger, contenenti l’urina dei dopati per sostituirla con esemplari “puliti”, forniti dagli stessi atleti mesi prima e congelati in una “banca delle urine accertate” a Mosca. Perché il peso specifico del campione pulito corrispondesse a quello dell’originale, Rodchenkov aggiungeva sale da cucina per aumentarne la densità. A Sochi c’era un laboratorio parallelo, che lavorava di notte ed era accanto a quello ufficiale: lo scambio di provette avveniva attraverso un foro alla parete. Un buco enorme adesso, dove sprofonda un paese.