Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 19 Martedì calendario

A cosa serve esporre cento donne nude a Cleveland?

A cosa serve esporre cento donne nude a Cleveland – sede della convention repubblicana – come performance simbolica contro Donald Trump e il suo sessismo? Credo che serva alle cento donne nude, al fotografo che le ha riunite e ai simpatizzanti della loro causa, tra i quali mi annovero. Ma non serve certo ad arginare o contraddire o impensierire Trump e l’onda popolar-reazionaria che lo sostiene. Anzi: confermerà in quell’impetuoso movimento l’idea che la causa progressista sia nelle mani di avanguardie stravaganti e snob, intellettuali e artisti (termini già di per sé fonte di sospetto), femministe, fricchettoni, ecologisti, nudisti, inutili conventicole di perdigiorno distanti dalla sana banalità di bisogni popolari.
La causa progressista, ovviamente, non corrisponde alla caricatura che la greve destra populista ne fa, non solamente in America. Si muove lungo binari che sono robustamente popolari (la solidarietà è popolare almeno quanto il razzismo) e si nutre di sentimenti e passioni di massa: per eleggere Obama due volte non bastavano i voti dei professori di Harvard con la Volvo e delle gallerie d’arte del Village. Però, ecco, proprio per smentire i cliché della propaganda nemica, forse sarebbe meglio non accogliere la convention che incorona Trump con una specie di mini revival di Woodstock che sembra fatta apposta per consentire a delegati repubblicani con i capelli bianchi considerazioni sarcastiche su come invecchia male la sinistra.