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 2016  luglio 19 Martedì calendario

Sulla prima proposta di abolizione del Senato che risale al 1919

 La proposta di abolizione del Senato non è un’idea originale. Fu infatti concepita la prima volta da Filippo Tommaso Marinetti, uno dei principali esponenti in Italia del movimento futurista che ebbe degli influssi profondi non solo sull’arte ma anche sulla politica e sul costume della società del tempo. Poi la proposta fu inserita, nel documento programmatico di fondazione dei fasci italiani di combattimento nel marzo 1919 nella storica adunata di Piazza San Sepolcro a Milano. Il programma dei fasci di combattimento ebbe in origine una connotazione di sinistra o quantomeno progressista per l’epoca, connotazione che si modificò col tempo fino a perdersi completamente.
Enrico Pinto

Caro Pinto,
Il primo Dopoguerra fu un cantiere di riforme politiche e sociali. Sul piano internazionale vi furono i 14 punti che il presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, aveva annunciato al mondo sin dal gennaio 1918 e i manifesti di tutte le rivoluzioni comuniste, da quella di Pietrogrado del 1917 a quelle di Berlino, Monaco e Budapest del 1918. Sul piano nazionale non vi è Paese in cui un partito o un leader non abbia proposto ai propri concittadini un rinnovamento radicale dello Stato. In Italia il programma più audace e innovatore è probabilmente quello della Carta del Carnaro, scritta a Fiume, negli ultimi mesi dell’esperienza dannunziana, da un sindacalista rivoluzionario, Alceste De Ambris. Ma anche il programma dei fasci di combattimento, scritto dopo la riunione di Piazza San Sepolcro fra il marzo e il giugno del 1919, contiene proposte interessanti.
Il programma chiede la convocazione di una Assemblea Nazionale per la durata di tre anni, «il cui primo compito sia quello di stabilire la forma costituzionale dello Stato». Anticipa alcune riforme che faranno parte della nuova Costituzione: l’abolizione del Senato regio, il suffragio universale a scrutinio di lista regionale con rappresentanza proporzionale, il voto a 18 anni per uomini e donne, la formazione di Consigli nazionali dell’industria, dei trasporti, dell’igiene sociale, delle comunicazioni, eletti dalle collettività professionali e di mestiere con poteri legislativi e col potere di eleggere un Commissario generale con funzioni ministeriali. Furono proposte anche la giornata lavorativa di 8 ore e una legge di assicurazione sulla invalidità e la vecchiaia il cui limite di età sarebbe stato abbassato da 65 a 55 anni. Le misure finanziarie erano quelle più radicali: una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo «che abbia forma di espropriazione parziale di tutte le ricchezze», il sequestro dell’85% dei profitti di guerra.
È certamente vero, caro Pinto, che una larga parte del programma di San Sepolcro fu abbandonato lungo la strada dalle ambizioni di un leader che non esitò ad accettare compromessi, fra gli altri, con gli agrari e con la monarchia. Ma la partecipazione dei lavoratori al governo del Paese riappare nel concetto di economia corporativa, nella costituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni e persino nel programma della Repubblica sociale italiana. Non si spiegherebbe altrimenti perché tanti intellettuali, destinati a diventare più tardi comunisti, abbiano continuato a sperare, sino all’inizio degli anni Quaranta, nella seconda ondata rivoluzionaria del regime.