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 2016  luglio 19 Martedì calendario

Giovanni Gastel, il fotografo che ha un cavallo per amico

Il piacere, la consolazione d’invecchiare assieme a un vero amico. «È davvero una cosa tenera: ci si trova, ci si fa le feste e poi via contenti in mezzo al verde. Io sento che lui non è più quello d’un tempo ma non glielo faccio pesare. Tanto più che anche lui ha la stessa impressione di me e generosamente ha smesso di mettermi alla prova. Che cos’è l’amicizia se non la capacità di capirsi e di offrire reciprocamente solidarietà? Qualcosa d’impagabile».
Potrebbe essere un vecchio compagno di scuola quello di cui parla Giovanni Gastel, famoso fotografo, nonché poeta e nipote-dandy di Luchino Visconti. Invece è Nero Bell, 24 anni, un bellissimo cavallo anglo-arabo rossiccio (con qualche colpo di sole), fiero, un pizzico vanitoso (come il padrone) e soprattutto molto veloce. «È con me dal 1996 ma nonostante gli acciacchi della terza età – spiega compiaciuto Gastel – non ha perso niente in velocità».
Gli incontri con Nero Bell sono frequenti e non molto distanti dallo studio milanese (zona Tortona-Voghera-Savona, triangolo moda e movida) dove il fotografo opera. Basta un’oretta per arrivare a Castellaro de’ Giorgi, piena Lomellina, nel pavese, ed entrare alla Corte Grande, ottocentesca azienda agricola con mulino e diversi caseggiati su 900 ettari, dove prospera la comunità dei fratelli Gastel, figli dell’imprenditore Giuseppe (Victor profumi) e di Ida Pace Visconti di Modrone, sorella minore del grande regista.
«Ci vado appena posso, l’azienda è il mio relax e montare fra alberi, barriere naturali, acqua, affossamenti è affascinante anche se rischioso soprattutto nelle nebbie autunnali. Il cavallo come mezzo di trasporto, per spostarmi da una parte all’altra: un modo di vivere la natura tornando indietro nel tempo. In realtà i cavalli sono quattro anche se il rapporto con Nero Bell resta unico». Al di là della solidale reciprocità fra Giovanni e Nero, che tipo di rapporto è quello fra uomo e cavallo? E cosa insegna l’animale al cavaliere? «Un cervello e due occhi umani su 500 chili di muscoli creano un ibrido mitologico, il centauro, cioè una sorta di terzo animale, che non ha altra rispondenza. Il cavallo dà potenza ma con una visualità limitata, il cavaliere contraccambia offrendo occhi e razionalità. Per raggiungere il massimo l’alchimia uomo-animale deve essere perfetta: morso, peso, voce, frusta, gambe sono i mezzi, gli aiuti, che concorrono a raggiungere lo scopo. Ma non bisogna sgarrare nel rapporto di fiducia perché il cavallo in qualsiasi momento può fartela pagare. Ecco la cosa più importante che il cavallo insegna all’uomo: il rispetto della fiducia».
Paura, eccitazione, passione, coraggio, timori. Ha senso provare a definire l’esperienza di cavalcare un animale che è anche amico intimo? «Un’esperienza irrinunciabile, appassionante ma pure dolorosa perché bisogna mettere in conto che, al di là della sintonia col cavallo, prima o poi ci si rompe le ossa. Per me l’ultima volta è stata una decina d’anni fa: caduta rovinosa, una specie di colpo di fucile in zona colonna vertebrale. Anche se stordito ho sentito che muovevo il piede e mi sono detto: è andata bene, dai!».
Resta da stabilire se in questi casi possa più l’errore umano o il passo falso dell’animale. Ma i cavalieri di lungo corso non accettano un’alternativa così netta. «È più corretto parlare di psicologia imprevedibile. Un cavallo può fare salti straordinari in situazioni estreme ma può anche piantarsi all’improvviso di fronte a una striscia bianca sul terreno e non c’è verso di forzarlo».
Le coccole possono essere un’assicurazione contro incidenti del genere? Inutile illudersi, l’imprevisto fa parte del gioco.
«Ma le coccole ci sono comunque, sincere e reciproche. Quando arrivo a Castellaro Nero mi sente a distanza e lancia i suoi saluti, poi mi lecca la faccia senza ritegno: un momento bellissimo. Io ricambio accarezzandolo e grattandolo nei punti che lui apprezza anche perché magari non riesce ad arrivarci. Poi alla fine d’una cavalcata l’animale va ringraziato: parlandogli in un certo modo, offrendogli carote, zucchero e altri regalini».