Il Messaggero, 17 luglio 2016
Tornando a passeggiare sulla Promenade
NIZZA Sulla ringhiera che divide la Promenade des Anglais dalla spiaggia hanno messo la foto di un bambino. Aveva 5 anni, è stato schiacciato delle ruote del camion che giovedì sera ha ucciso 84 persone durante le celebrazioni della Festa Nazionale. Di fianco alla foto il padre e la nonna del bambino stanno seduti su una panchina, le lacrime agli occhi, nessuna voglia di parlare. Dalla spiaggia arrivano le urla dei bambini che giocano con le onde, l’odore delle creme solari, i fischi dei bagnini che raccomandano prudenza.
VIA LE MACERIE
Gli spazzini hanno lavorato fino all’alba per portare via le «macerie della strage», hanno raccolto le scarpe abbandonate durante la fuga, i teli argentati con cui erano stati coperti i cadaveri, i rimasugli delle bende utilizzate dagli infermieri del primo soccorso. La vita riprende sulla Promenade des Anglais, tutto deve sembrare come prima, prima della strage, prima del lutto. Hanno anche provato a cancellare le grandi chiazze di sangue che macchiavano i due chilometri di passeggiata su cui si è abbattuta la furia di Mohamed Lahouaiej Bouhle. Ma non ci sono riusciti.
Sopra ognuna di quelle chiazze qualcuno ha posato un fiore, o un lumino, e nell’arco della giornata sono diventati dei piccoli altari con altri fiori, biglietti scritti a mano, disegni di bambini. Per cui, mentre tutto intorno la vita ricomincia, mentre i turisti prendono il sole e i baristi tornano a prendere le ordinazioni, mentre i clacson delle auto in coda fanno fretta ai pedoni che attraversano lentamente il corso, percorrere la Promenade è un po’ che inoltrarsi in una via crucis. Ogni pochi metri c’è un altarino.
La foto delle due bimbe tunisine morte insieme con la nonna, quella di un ragazzone di 20 anni («altezza 1,95, razza caucasica, indossava una polo bianca») di cui non si hanno notizie da giovedì sera, l’immagine di una donna con un panama in testa. E intorno a ogni altarino persone in silenzio che pregano, o depongono altri fiori, o sibilano la loro rabbia, la loro incredulità, la paura che possa nuovamente accadere domani o fra un mese, qui o in qualsiasi altra parte della Francia o del mondo, come in una guerra che nessuno vuole e nessuno capisce.
EPICENTRO
Più ci si avvicina al Palais del la Mediterranée più gli altarini si fanno numerosi. È il luogo in cui il camion trasformato da Bouhlel in un’arma di sterminio di massa ha terminato la sua corsa, crivellato dai colpi sparati dagli agenti dopo due chilometri di mattanza. Il camion non c’è più, lo hanno portato via nella notte e parcheggiato nel cortile di una caserma di polizia alla voce «reperti balistici». Però centinaia di persone stanno proprio lì dove c’era il camion: come se quello fosse il luogo simbolo della tragedia.
LUOGO SIMBOLO
A novembre, a Parigi, dopo le stragi del Bataclan e delle terrazze era stata scelta la Piazza della Repubblica come luogo deputato alle rimembranze. A Bruxelles, quattro mesi fa, fiori e ricordi e dolore si erano concentrati davanti alla Borsa. Adesso invece tutto avviene lungo questa via crucis di due chilometri che si conclude dove c’era il camion del fondamentalista depresso. I pompieri hanno steso sull’asfalto una bandiera francese e sopra vi hanno scritto un messaggio di incoraggiamento: «Insieme ce la faremo». È quello che vanno ripetendo da 48 ore politici, autorità locali, esperti chiamati in tv a dire la loro. È quello che, inconsapevolmente, provano a dire tutti quelli che sulla Promenade ritornano alla vita di sempre, come se l’angoscia si potesse cancellare con le urla, le sgasate delle moto, i tuffi in mare, i giochi sulla spiaggia, le cene gustate intorno ai tavolini con vista golfo.
E forse è davvero così, fra qualche giorno i fiori che compongono gli altarini appassiranno e verranno portati via, i temporali scioglieranno l’inchiostro con cui sono stati scritti messaggi e poesie «in ricordo delle 84 vittime innocenti», i furgoni delle tv di tutto il mondo che adesso occupano trecento metri di passeggiata verranno dirottati altrove, magari dove ci sarà una nuova tragedia da raccontare, nuovi volti piangenti da immortalare.