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 2016  luglio 17 Domenica calendario

La verità è che in Turchia è andata male. E andrà peggio

La verità è che in Turchia è andata male, che occorreva tifare per il golpe, che l’interventismo militare turco è previsto dalla Costituzione, che i più alti papaveri dell’esercito sono stati esclusi dal blitz soltanto perché li aveva nominati Erdogan, che il vero regime è quello che c’era e che, purtroppo, ci sarà ancora. Ora Recep Erdogan avrà una scusa formidabile per giustificare una reazione e quindi una restaurazione: «La pagheranno» ha già detto. La verità, insomma, è che hanno vinto i musulmani e hanno perso i laici, non serve essere politologi per saperlo.
Dal 1923, cioè dall’avvento del padre della Turchia moderna – il mitico Kemal Ataturk – l’esercito è intervenuto ogni qualvolta ha visto in discussione la laicità dello Stato e la parità dei diritti di genere: e nel caso c’era anche altro, c’era la repressione della libertà di stampa, la persecuzione delle minoranze, la palese ambiguità dello sfilarsi di Erdogan da ogni coalizione internazionale contro il terrorismo, senza contare gli aiuti all’Isis e la neo vicinanza con Iran e Russia. Non è un caso che i militari, nonostante il riflesso storico di associarli alle destre autoritarie, nella notte avessero annunciato anzitutto di voler ripristinare “democrazia e laicità” nonché il rispetto dei diritti civili. I militari temevano il crescente contagio jihadista nel paese (già dimostrato, numeri alla mano) e non avevano gradito le scuse e il riavvicinamento a Putin dopo l’abbattimento di un jet russo che aveva sconfinato in Turchia; non comprendevano i doppi e tripli giochi di un leader, Erdogan, che da una parte ospitava una base Nato (quella da cui partono, anzi partivano, i caccia diretti in Siria) e dall’altra tornava a tendere la mano proprio alla Siria. Nel groviglio delle contraddizioni c’era anche il patto per fermare il flusso dei rifugiati siriani (grazie al quale Erdogan ha battuto cassa alla Ue per 6 miliardi) e terribile strage terroristica all’aeroporto di Istanbul, ciò che nel giugno scorso è stata giudicata dai militari come l’esito finale degli errori strategici di Erdogan. Si aggiunga che anche i militari, ma non solo i militari, avevano subodorato che cosa celavano i disegni di riforma costituzionale annunciati dal governo: un neo sultanato, con a capo naturalmente un Erdogan sempre più intoccabile. Peccato che il sultano che negli ultimi anni aveva lavorato proprio su questo, sull’esercito: gli alti comandi erano tutti uomini suoi. Molti graduati minori non avevano capito che ormai i golpe, quelli alla vecchia maniera, non si possono più fare in Turchia né altrove: troppo complicato controllare le piazze e le strutture di un Paese interconnesso col mondo (con Erdogan che l’altra notte incoraggiava le folle con Facetime, quello di Apple, alla faccia delle censure) e che ha offerto il fianco al sospetto, diffuso, che il golpe Erdogan se lo sia fabbricato in casa. La cosa, in effetti, giustificherebbe un repulisti già ampiamente cominciato nelle ore successive al golpe: centinaia di golpisti morti, migliaia di arrestati, migliaia di giudici rimossi dall’Alto Consiglio e dalla Corte d’Appello, in pratica un controgolpe coi fiocchi. E giustificherebbe, a suggello, anche una spinta verso l’annunciata Repubblica Presidenziale: ma, benché lo scenario sia assai probabile, le dietrologie ora servono a poco. Se vale questa, vale anche quella scagliata da Erdogan circa un’improbabile regia golpistica orchestrata in Pennsylvania dal predicatore Fethullah Gulen, islamista che dal 1999 è in esilio volontario negli Stati Uniti. A proposito: ieri il primo ministro turco ha detto che qualunque nazione dovesse schierarsi “al fianco” di Gulen dovrà considerarsi “in guerra” con la Turchia. Quindi, se rifiutassero l’estradizione di Gullen, parlava degli Stati Uniti. Ecco l’aria che tira. Dietrologie a parte, i fatti acclarati sono più che sufficienti. E i fatti sono che Erdogan è più forte di prima e che ora apparirà più giustificabile nelle sue avventate scelte di politica estera. Ieri pomeriggio la base aerea di Incirlik, da cui partono gli aerei americani che bombardano l’Isis in Siria, è stata isolata, e la corrente elettrica staccata: il governo inoltre ha chiuso lo spazio aereo sopra la base, tutti i bombardamenti cioè sono stati sospesi. Sarà un caso anche questo. Ma i fatti, dicevamo: i fatti sono che l’Europa e l’Italia – mentre Obama ha già dato un tiepido e formale appoggio a Erdogan – non hanno ancora deciso che cosa pensare, che cosa dire, che cosa fare. Niente, probabilmente: niente ora, e niente in un futuro prossimo, mentre la purga del sultano si farà devastante e le ritorsioni contro il tiki-taka occidentale appariranno giustificate.
La verità, ergo, è che in Turchia è andata male. E andrà peggio. La Turchia del sultano Erdogan è quella che ha rivalutato le donne che girano a capo coperto, quella che fa il pesce il barile sull’Isis ed esporta armi in Siria, e nega il genocidio degli armeni che ispirò Hitler, e di passaggio chiude giornali, incarcera giornalisti e scrittori, censura internet: noi intanto, al massimo, discutiamo di un’entrata in Europa della Turchia e del benvenuto che potremmo dare a 75 milioni di musulmani. I golpe, noi, ce li facciamo da soli.