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 2016  luglio 17 Domenica calendario

Khamsin, il vento del deserto che non guarda in faccia nessuno

All’orizzonte, si vedono nubi fitte e scure raccogliersi verso sud-est. Sono seguite da altre di un rosso violento. Le due descrizioni si mescolano tra loro, finché sembrano masse confuse di fuoco e fumo che si alzano da una città in fiamme. Una luce rossiccia e giallognola si diffonde, il calore diventa più oppressivo, uomini e animali strisciano al riparo... ora si sente un rumore in aumento, le nubi si allungano in avanti, sembrano strisciare sul terreno, e in un istante la tempesta è con te e sei avvolto in un mare di polvere e sabbia». È apocalittica la descrizione che nel 1842 Joseph Russeggert, tedesco, fa nel suo racconto di viaggi in Europa, Africa e Asia del Khamsin, il vento del deserto che soffia in Egitto. 
Al Cairo e nelle città egiziane, quando Khamsin spira, la sabbia del deserto si posa sui balconi delle case, ricopre le auto, gli infissi degli antichi palazzi liberty non possono fare niente per fermarla, e gli anziani vestiti in galabayyia – la lunga tunica tipica del Paese – e turbante bianco si avviluppano in pesanti sciarpe di lana che usano anche per ripararsi naso e bocca dall’aria secca.
Cinquanta 
Khamsin (50 in arabo) soffia da marzo a maggio. Si chiama così perché le tempeste possono formarsi per un periodo di circa 50 giorni, ma agiscono con forza soltanto per cinque o sei. È un vento caldo che tira da Sud e Nord-ovest, carico di sabbia del deserto, scrive Cassandra Vivian nella guida del deserto egiziano The Western Desert of Egypt, e ripresa dal blog the Arabist, una lettura obbligata per chi è interessato alla vita in Egitto, che al Khamsin ha dedicato anni fa un post.
In un Egitto dove la cadenza delle stagioni è molto dilatata rispetto all’Europa continentale, l’arrivo improvviso del vento del deserto è sicuramente vissuto come una scocciatura, che rallenta il già calmo ritmo quotidiano. In passato, però, a giudicare dai racconti di viaggiatori stranieri nelle terre d’Egitto, il Khamsin era vissuto con angoscia, quasi come una vera e propria catastrofe atmosferica.
Seth
Non è un caso che nell’Egitto antico questo vento fosse simbolizzato dal dio Seth, rappresentante delle forze più oscure della natura. È a bassa voce e con un certo terrore che arabi e francesi attendono l’arrivo del Khamsin nella descrizione che Alexandre Dumas e Adrien Dauzats ne fanno nel loro Quinze jours au Sinaï : impressions de voyage, del 1891. Il racconto del conte viaggiatore Volney, orientalista francese, è allarmista e ha i toni della catastrofe: «Il polmone, che un’aria troppo rarefatta non riempie più, si contrae e si tormenta: la respirazione si fa corta e faticosa; la pelle si secca e si è divorati da un caldo interno insopportabile. Sfortunati quei viaggiatori sorpresi sulla via da un tale vento».
Erodoto
Sfortunati sono stati nelle storia eserciti e soldati che hanno incontrato durante le loro campagne in Egitto il Khamsin, e non è un caso che le descrizioni più vivide sul temibile vento del deserto arrivino proprio dalle cronache belliche. Scriveva Erodoto: «I persiani, mandati a combattere contro gli ammoni (abitanti di Siwa, nel deserto occidentale egiziano, ndr) arrivarono fino all’oasi chiamata isola dei Beati (oggi forse Kharga, ndr), ma a partire da qui nessuno è più in grado di dire nulla sui soldati... mentre prendevano il pasto spirò contro essi un vento di meridione potente ed insolito che li seppellì ed essi così sarebbero scomparsi». Era il 524 a.C.. Lo storico greco racconta, circa un secolo dopo, la fine dell’armata perduta di Cambise, re di Persia, di cui nel 2009 archeologi avrebbero trovato segni tra le sabbie del deserto egiziano. 
Napoleone
Non c’è dubbio che l’intensità del Khamsin sia stata per generali e soldati un potente nemico da temere ed evitare in Egitto, anche per i militari più esperti, come i francesi di Napoleone, durante la campagna d’Egitto. «Gli uomini più duri e più robusti lo sopportano con difficoltà... Sfortunate le carovane che si lasciano sorprendere nei deserti. Turbini di fuoco passano sulla vostra persona, montagne di sabbia infuocata vi rotolano attorno», scrive Jean-Baptiste De Latil in Campagne de Bonaparte à Malte, en Egypte et en Syrie. «Inizia come uno zefiro, per il quale i non iniziati ringraziano Allah, nella prima mezz’ora. Alla fine dell’ora, si chiede ad Allah di esserne liberati. Alla fine della giornata, si specula sulle proprie possibilità di arrivare al mattino seguente. Alla fine del secondo giorno si chiede ad Allah che si prenda la tua vita», scriveva con tono tragico il capitano australiano Hector William Dinning nel suo diario della Prima guerra mondiale, By-Ways of Active Service: Notes from an Australian Journal.
Rommel
La Bbc ha raccolto le parole di un soldato britannico nel mezzo del deserto egiziano, durante lo scontro con l’Africa Korps del generale Rommel: «Non molti giorni dopo il nostro arrivo a Kassassin, questo calderone ha iniziato a ribollire. Era il giorno in cui il temuto Khamsin è calato come una coperta. Mi ricorderò sempre la mia prima esperienza con questo terrore, in arrivo dall’interno selvaggio dell’Africa: l’aria arrivava dal deserto, non come al solito dal Mediterraneo... con minuscole particelle di sabbia, a milioni, che bloccavano il blu perpetuo e trasformavano i cieli in una massa di grigio».