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 2016  luglio 17 Domenica calendario

Ai funerali delle 13 vittime dello scontro tra treni

Il funerale era ormai finito ma non riuscivano a portare via le bare. Ogni tanto sentivi un tuono rimbombare da fuori, poi un urlo dentro il palazzetto dello sport trasformato in una gigantesca chiesa povera. Solo un crocifisso e l’altare, sotto il tabellone del campo da basket. «Marco, ti prego, devi essere forte, te lo chiede papà» diceva un signore pallido, facendosi largo fra i poliziotti in alta uniforme. Ma Marco Cirone, il figlio, non lo sentiva nemmeno. Piangeva abbracciato al feretro con sopra la foto della sua fidanzata. La bara era bianca, perché lui e Jolanda Inchingolo dovevano sposarsi a settembre. Stringeva il legno. Baciava quel sorriso stampato. E piangeva: «Ti prego, dimmi che mi ami ancora, dimmi che ci rivedremo». Fino a quando si è alzato in piedi. Indossava una camicia bianca a mezze maniche con dei disegni colorati, che gli usciva per metà dai pantaloni. Aveva i capelli rossi arruffati, barcollava e continuava a ripetere: «Perché, perché, perché?». Marco Girone ha cercato lo sguardo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e il presidente lo ha guardato con gli occhi lucidi, in piedi, proprio davanti a quel dolore. È intervenuta una poliziotta che aveva messo i gioielli alle dita. Ha preso la mano di Marco Cirone per consolarlo. Lo accarezzava sul braccio. Chiedeva dell’acqua. «Fate spazio, per favore, non si respira!». E stava quasi per portarlo via da lì, in modo che potessero sollevare il feretro, quando si è sentito il grido lacerante di una donna. Era inginocchiata davanti alla bara a fianco. «Patty, Patty», diceva soltanto. Gridava il nome e anche lei baciava la fotografia. Patty Carmineo faceva l’estetista a Bari, era bionda e bellissima, aveva una figlia di due anni. Ed era sul quel treno per andare a lavorare. 

È stato un funerale con poca retorica. Tredici vittime del disastro ferroviario su ventitré vivevano ad Andria. Erano allineate in fila, su un campo da gioco coperto con della plastica blu e un tappeto rosso. C’erano le corone di fiori. L’organo suonava il Miserere. Il presidente Mattarella stringeva le mani una ad una, abbracciava i parenti e si lasciava abbracciare. Lo vedevi sussurrare parole di conforto al collo di una donna sfinita, che quasi si sorreggeva a lui. Non c’era nessuna distanza fisica fra i familiari delle vittime e le istituzioni. La presidente della Camera Boldrini, il ministro delle Infrastrutture Delrio, il governatore Emiliano, in mezzo alla gente di questa terra bellissima e colpita al cuore. La scorta del Presidente restava sempre un passo indietro. Mattarella era già stato giovedì alla camera ardente, ma è voluto tornare in Puglia. Come se volesse farsi garante personalmente di tutte le domande di giustizia che venivano continuamente sollevate dalle parole e dai silenzi. 
Lo schianto sul binario unico, in quel tratto che avrebbe dovuto essere messo in sicurezza, è avvenuto a 7 chilometri da qui. La stazione di Andria è ancora chiusa, il binario sotto sequestro. Così sembrava simbolica anche la presenza del capo della polizia, Franco Gabrielli. Cinquemila persone intorno alle bare. Madri giovani, bambini, suore, anziani contadini. Un funerale a Sud. In mezzo alle campagne, sotto un diluvio torrenziale. Il palazzetto che si riempiva con molto anticipo, mentre i vigili del fuoco sgomberavo i campeggi allegati nel Gargano e le strade tracimavano acqua. Il vescovo Don Luigi Mansi al microfono: «Noi temiamo che per troppi anni le nostre terre siano state considerate le periferie d’Italia, quelle periferie di cui parla Papa Francesco». Poi, rivolgendosi ai politici: «Le coscienze sono addormentate da prassi come quelle dell’economia. Prassi in cui non si pensa alla vita delle persone, ma alla convenienza e all’interesse senza scrupoli». È stato un atto d’accusa: «Speriamo che finisca questo modo di agire. E che ci si occupi dei diritti di tutte le persone, a cominciare dai più deboli e fragili». Per tre volte sono risuonati i nomi delle vittime: Pasquale, Rossella, Luciano, Jolanda, Michele, Gulia, Benedetta, Giovanni, Pasqua detta Patty, Gabriele, Giuseppe, Serafina, Fulvio. A lungo è sembrato che le emozioni fossero compresse, chiuse dentro ai cuori. Fino quando ha preso la parola il sindaco di Andria, Nicola Giorgino: «Con voce ferma e decisa, a nome di una comunità martoriata, chiedo verità e giustizia. Lo dobbiamo ai familiari di quelle vittime che conducevano un’esistenza serena che è stata interrotta. La speranza ha due figli, diceva Sant’Agostino. Lo sdegno per le cose come sono e il coraggio di cambiarle. Di fronte a questa strage lo sdegno sembra prendere il sopravvento: ci aiuti, presidente, a ritrovare il coraggio». È stato il momento che ha rotto l’equilibrio. Applausi, lacrime. Sulla bara del vicequestore Fulvio Schinzari hanno messo il berretto della polizia. Fiori sul feretro del ferroviere Flavio Abbasciano. Ognuno con una storia, circondato da un amore disperato. Non volevano staccarsi. Il presidente Mattarella è rimasto in piedi lì davanti, fino a quando è stata portata via anche l’ultima bara.