La Stampa, 17 luglio 2016
Salvare un hotel grazie ai migranti. È successo a Brescia
L’hotel Milano di via Valcamonica a Brescia ha 71 anni, 3 stelle, infissi malmessi, piastrelle scombinate in bagno, avrebbe bisogno di una mano di vernice e però è sempre pieno. Pienissime da almeno 5 anni le 21 camere tutte con bagno su tre piani. Occupate per mesi, più spesso almeno un anno, da nigeriani in fuga da Boko Haram e altri richiedenti asilo dalla Guinea, Zambia, Mali e Afghanistan. Marzia Gussoni, 50 anni, da dieci alla guida dell’albergo, tutti la chiamano «Maman». Lei ricambia con fare gentile e si capisce che non è solo business: «Questo non è più da anni un 3 stelle di qualità. Forse non è più nemmeno un 3 stelle. Quando la Prefettura di Brescia 5 anni fa ci chiese di ospitare i richiedenti asilo dicemmo subito sì. Da 3 anni ospitiamo solo loro».
Il protocollo con la Prefettura detta le regole economiche. Per ogni migrante l’albergo incassa 35 euro al giorno. Di questi 2 euro e mezzo devono andare ai richiedenti asilo come argent de poche. In cambio la struttura deve offrire alloggio e vitto, servizio di lavanderia e ogni altra assistenza. Alla fine fanno 22 mila euro al mese e poco più di 250 mila euro l’anno. Non è detto che in futuro l’albergo non possa ridiventare «misto». La convenzione con il vicino ospedale e con una scuola sono ancora valide. Qualche richiesta è arrivata anche negli ultimi anni. Non sarà un hotel di lusso ma è pulito. E poi le camere costavano poco. La singola 50 euro, la doppia appena 80. Adesso la convenzione con la Prefettura è al ribasso ma a Marzia Gussoni va bene così. «Ci stiamo dentro perché l’albergo è a conduzione familiare. E in questo modo abbiamo avuto la garanzia che l’albergo sia sempre pieno. Io sono in cucina. Cibo africano soprattutto. A loro piace e a me costa meno», ammette «Maman» che governa questa Torre di Babele dei rifugiati insieme al fratello, alla figlia, al genero e a due dipendenti.
I servizi richiesti sono garantiti tutti ma ovviamente ci si limita al minimo indispensabile. «Noi laviamo, ma a calze e mutande ci devono pensare loro. Così come sono loro che devono tenere pulita la camera». La convivenza interna è più che buona. Fuori c’è qualche problema ma potrebbe andare pure peggio da queste parti. «All’inizio qui davanti hanno fatto una manifestazione una decina di militanti di Forza Nuova con le loro bandiere. Ho detto ai ragazzi di non uscire. Per me possono fare tutte le manifestazioni che vogliono. Basta che non invadano il nostro marciapiede». Poi c’è stato il caso di un vicino che ha accusato un ragazzo di aver rubato una borsetta al supermercato. «Ho le telecamere. All’ora del furto il ragazzo era sicuramente in camera. Gliene ho dette di tutti i colori a quello lì...».
Per gestire questo microcosmo mondiale «Maman» deve usare pugno di ferro e guanto di velluto. Ai migranti parla solo in italiano così imparano. Cerca di coinvolgerli dove c’è bisogno perché per i primi 6 mesi nessuno può lavorare e ci vuole almeno un anno per sapere se la domanda d’asilo è stata accolta. «A chi viene respinta dico di non fare ricorso e di andare altrove. Non ne vale la pena. C’è chi è andato all’estero e mi chiama ancora. Ma le nostre camere rimangono libere davvero poco».