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 2016  luglio 16 Sabato calendario

Come un falco può cambiarti la vita. Intervista a Helen Macdonald

La trama, tutto sommato, è semplice. Per mesi, tra un autunno e l’inverno che segue, una giovane donna e un grande falco dalle penne rossicce si conoscono, si studiano, imparano a fidarsi l’uno dell’altro. Il rapace, che gli umani chiamano Mabel, vuole volare e cacciare, come la sua natura le impone. La ragazza, che di nome fa Helen, deve riprendere a vivere dopo un dolore terribile come la morte del padre Alisdair, un fotografo scozzese trapiantato a Londra che lavorava per i maggiori quotidiani britannici. Intorno ai due protagonisti scorrono campagne, case, foreste, un’Inghilterra intensa e magica. Io e Mabel, il libro che racconta quei mesi, è da due anni un best-seller nell’edizione inglese, è stato pubblicato da poco in italiano da Einaudi, ha ricevuto martedì scorso il Premio Merck Serono, che ha per temi la letteratura e la scienza. È un libro profondo, denso, insolito, che Anna Rusconi ha tradotto in maniera straordinaria. Un libro affascinante anche per chi non sa di falconeria e di falchi.
Helen Macdonald, il suo libro è una storia vera?
«Essenzialmente sì, racconta la mia vita tra la morte di mio padre nel marzo 2007 e la primavera successiva. Dall’autunno, per sei mesi faticosi e straordinari, il rapporto con Mabel è stato centrale nella mia vita, e mi ha aiutato a cambiare». Come si è avvicinata ai falchi e alla falconeria?
«Ho un ricordo di quando, a cinque anni, sono rimasta incantata dalle evoluzioni di un falco. Tra gli undici e i dodici anni mi sono iscritta a un’associazione di falconieri, e ho fatto volare e cacciare un gheppio.
Cosa può dare a un umano il rapporto con un rapace?
«I falchi sono semplici, elementari, potenti. Scambiare uno sguardo con loro è un’esperienza che ti cambia nel profondo. Riuscire a farli volare e poi tornare da noi è una sfida che richiede attenzione estrema. Con Mabel volevo andare a cercare mio padre, per riportarlo a casa. Invece ho accompagnato verso l’aldilà la sua ombra, e io sono tornata indietro».
Perché proprio un astore?
«Rispetto agli altri rapaci, gli astori sono considerati crudeli, psicopatici, brutali. Volevo una sfida estrema, e l’ho vinta. Mabel si è abituata a me, si è fidata, ha imparato a partire dal mio pugno e a tornare al termine della caccia. L’ho lasciata quando ho dovuto trasferirmi a Londra da mia madre. Dopo mi ha sempre riconosciuto».
Si considera una professoressa o una scrittrice?
«Ora scrivo e promuovo i miei libri, ho una rubrica sul magazine del New York Times. Ho insegnato Storia della scienza a Cambridge. Non solo i rapaci, tutta la scienza da Copernico alla bomba atomica. Amo insegnare, ma non sopporto il mondo accademico».
La falconeria ha origini antiche, è diffusa in molte parti del mondo, molti la guardano con sospetto
«Sono affascinata da Federico II, che nel Medioevo ha portato in Europa la falconeria degli Arabi. Tom Cade, zoologo e falconiere, l’ha definita un birdwatching ad alta intensità. In Gran Bretagna viene praticata da qualche migliaio di persone, quasi tutte nobili o molto ricche. Ma il nostro è un paese dove le classi contano ancora molto».
La falconeria è morte, è violenza. Non la turba?
«In parte sì, quando Mabel catturava un coniglio correvo a ucciderlo perché non soffrisse. Ma un animale che vive libero, e viene ucciso in una frazione di secondo da un falco, vive molto meglio di un pollo chiuso in un allevamento intensivo. Molte persone che amano la natura la guardano come attraverso una barriera. A me piace metterci le mani, influire su quello che accade».
I paesaggi intorno a Cambridge sono davvero belli e misteriosi come li descrive?
«In realtà no, ed è una delle principali libertà che mi sono presa nel libro. Però sono luoghi che amo, soprattutto le colline di gesso. I riferimenti alla storia, invece, sono tutti veri. Popoli antichi, Medioevo, Seconda Guerra Mondiale Conoscerli aiuta a capire chi siamo».
Come se la passano oggi, i rapaci in Gran Bretagna?
«Bene, e alcuni come il falco pellegrino molto bene. Se ne vedono volare dappertutto. Invece molti uccelli di piccola taglia rischiano l’estinzione a causa delle trasformazioni dell’agricoltura. È una cosa che mi riempie di angoscia.
Cosa è successo all’astore Mabel dopo la fine del vostro rapporto?
«Ha vissuto bene, ha cacciato, mi ha riconosciuto tutte le volte che la sono andata a trovare. Poi è morta in poche ore, a causa di un’infezione».
Il suo libro si conclude parlando di cicatrici sulle mani, causate dagli artigli di Mabel o dai rovi.
«Alla fine di quei sei mesi avevo le mani piene di righe bianche. Segni di insofferenza, avvertimenti, ferite causate dall’angoscia quando la cercavo e mi aprivo la strada tra piante spinose. Poi c’erano altre cicatrici, quelle della mia anima, quelle che Mabel mi ha aiutato a risanare».
Prima di salutare Helen Macdonald si alza, si avvicina, mi fa vedere le mani. Sono quasi completamente guarite, ma segni e piccoli buchi ci sono ancora. Cosa sia accaduto ai graffi sulla sua anima lo sa soltanto lei. E lo può immaginare il lettore.