la Repubblica, 17 luglio 2016
Ecco perché Cavendish è bravo ma non è Merckx
Fermo restando che il vento non sa leggere, può essere un alleato, se non un amico. I corridori, stremati dal Ventoux tutti e non tutti dalla crono, hanno subito letto il vento e scritto il copione della tappa, che sarebbe ingiusto definire un nulla lungo 200 km. Ingiusto nei confronti dei 4 che hanno messo in piedi una fuga impossibile, eppure durata fino a 4 km dal traguardo. Vento in faccia e di lato, sui 33 la media dopo tre ore di corsa. I più stanchi erano i papaveri dell’alta classifica. Froome lo dice chiaro: «Finalmente una giornata tranquilla, nella pancia del gruppo. Era un tappa per velocisti, hanno lavorato solo le loro squadre, la mia no, la Movistar nemmeno. Domani (oggi per chi legge: ndr) c’è un’altra tappa dura, anche se non si arriva in salita. L’ultima discesa è molto pericolosa». Anche le altre non scherzano, e nemmeno le salite. È una tappa corta (160 km) che si presta alle imboscate. Cosa s’aspetta Froome? «Bmc e Movistar ne hanno due in classifica, Quintana continua a dire che attaccherà. Gli credo e lo aspetto, sono i miei avversari a dover fare la mossa. Vista la classifica, non posso certo trascurare Mollema, che è secondo. Continuo a non capire le polemiche sulla decisione della giuria riguardo al finale del Ventoux. Mi sembra in linea con quella presa quando l’intelaiatura dell’ultimo km piombò in testa a Yates». Gli fanno una domanda su Aru: «Pensavo di averlo più vicino, a questo punto della corsa. Cinque minuti sono tanti. Può darsi che abbia riservato energie per il finale, non so. Di certo non sottovaluto nessuno e non do retta a quelli che dicono che il Tour è già finito, che l’ho vinto io e che gli altri correranno per il piazzamento. So che per vincere dovrò ancora faticare parecchio».
Quello che Froome non sa è che ieri è arrivato Carlo Alberto Melis, inviato dell’Unione sarda (ecco un altro record). È un collega che aveva intuito le potenzialità di Aru quando ancora correva con gli allievi, si parla di otto anni fa. Aru è orgoglioso, non mi stupirei se oggi tentasse un colpo. Sarebbe ingiusto anche non citare i 4 che si sono presi il vento in faccia: Elmiger, Roy, il trentino Benedetti e Hove, che rinunciano un po’ prima, quando è chiarissimo, su un rettilineo che sembra infinito, che la fuga non ha più senso né futuro. Per Elmiger e Roy sì, e mentre il gruppo li mangia si stringono la mano. È un gesto nato qualche anno fa e si scambia solo con chi in fuga non ha fatto il furbo. Tocca ai velocisti. Vince Cavendish su Kristoff, Sagan, Degenkolb e Kittel. Serve qualche minuto per avere la certezza del risultato perché Kittel ha presentato reclamo. Scorrettezza, dice Kittel, di Cavendish che lo sorpassa e lo induce a frenare accennando una deviazione sulla destra. La giuria la pensa come noi che ne abbiamo viste molte di peggio. Un peccatuccio veniale. Visto e rivisto lo sprint, è Kittel che accentua le conseguenze della manovra di Cavendish. Che sale a 30 vittorie nel Tour e davanti ha solo Merckx, con 34. Qui dovrei ripetere quanto scritto quando Cipollini superò Alfredo Binda nel numero di vittorie al Giro. Questo rincorrersi a distanza di mezzo secolo o più, caso Cipollini, oppure meno, caso Cavendish, non ha molto senso. I numeri non mentono ma non dicono tutto. Merckx, quando Cavendish non era ancora salito a 30, aveva commentato: «Può vincerne anche 50, ma c’è una differenza fondamentale: io andavo al Tour per vincere il Tour, lui per vincere le tappe». Come mai le vince, quando sembrava in fase calante? Dice Cavendish: «Fisicamente non sono cambiato, mentalmente sì. Quest’anno sono più paziente, non mi faccio trascinare dall’istinto e vinco di più. Porto ad esempio lo sprint di oggi. Ai 2 km ho notato che Kittel aveva già messo in fila tutti suoi. Troppo presto, ho pensato. Marcel sarà obbligato a partire lungo. Così è andata, ma per passarlo ho aspettato che calasse la sua punta di velocità. È stato facile». Pensa di poter togliere la maglia verde a Sagan? «Non ne faccio una malattia. Restano due tappe per velocisti, Berna e Parigi. Ma tra Berna e Parigi ci sono tante Alpi da scalare. Non voglio forzare i miei limiti rischiando di compromettere le Olimpiadi». Anche perché Sagan sa fare di conto. Gli restano 62 punti di vantaggio e altri dovrà raccattarne sui traguardi volanti, ma ci è abituato.