la Repubblica, 17 luglio 2016
In cerca degli italiani dispersi a Nizza
È stato il tentativo della disperazione: «Avevamo vagato tutta la mattina per l’ospedale. Abbiamo trovato presto mio padre Andrea, ricoverato in terapia intensiva. Ma di mia madre non c’era traccia. Eravamo distrutti. Nel corridoio abbiamo incontrato un medico italiano. È stato lui a dirci: “Guardate in questi sacchetti. Sono gli effetti personali di quelle tre signore lì, che non hanno un nome”». È solo così che, nel primo pomeriggio di ieri, al secondo piano dell’ospedale Pasteur di Nizza, Beatrice Avagnina ha riconosciuto la madre, Marinella: «In fondo al sacchetto – ha raccontato con emozione la figlia – è spuntato, insieme agli altri, un anello di nozze. Con i nomi di Marinella e Andrea. È stata una liberazione».
Il miracolo degli anelli è una delle storie felici, forse l’unica, che si porta dentro il grande complesso del Pasteur, sulla collina che domina Nizza. Due giorni dopo il massacro, quando la Promenade des Anglais viene ormai riaperta al traffico, i dispersi della notte del 14 luglio sono ancora decine. A metà pomeriggio le autorità convocano una ventina di famiglie sperando che riconoscano qualcuno dei 16 corpi ancora senza nome che giacciono nella morgue. Un compito purtroppo non facile. Se è difficile riconoscere i vivi, intubati e completamente fasciati da capo a piedi, come la madre di Beatrice, lo strazio rende impossibile il riconoscimento di molti cadaveri.
All’ingresso dell’ospedale, di fianco al corpo principale, c’è un punto di accoglienza dei familiari dei dispersi. Stanno seduti in attesa sugli scalini, gli occhi gonfi e lo sguardo che vaga. I dispersi italiani dovrebbero essere tre. Di Angelo d’Agostino, di 71 anni e sua moglie, Gianna Muset, di 68, non si hanno notizie da giovedì sera. Sono scomparsi dopo gli sms agli amici in cui magnificavano i fuochi della festa. È tra i dispersi anche Carla Gaveglia. E la sua storia ha del paradossale. Al terzo piano dell’ospedale, in fondo al corridoio della traumatologia, il marito, Piero Massardi, assiste la figlia quattordicenne, Matilde, sdraiata sul letto con una caviglia fratturata. È stata lei tra le ultime a vedere Carla: «Eravamo alla festa, sul marciapiede – ha raccontato Matilde al padre – e a un certo punto tutti hanno cominciato a scappare. Io sono stata travolta dalla folla, mi hanno sbattuto per terra. Ilcamion non l’ho nemmeno visto. Ho visto invece la mamma. Era a terra. Una nostra amica le gridava: “Apri gli occhi, apri gli occhi’. Lei reagiva. Abbiamo fermato un’ambulanza. Lei è stata caricata su e non l’ho più vista». A metà pomeriggio, mentre Matilde e il padre sono in radiologia, arrivano in visita due amici di famiglia, Giampaolo Franceschetti e la moglie. «Veniamo a Nizza al mare da tanti anni», raccontano. Giovedì sera avrebbero dovuto esserci anche loro: «Avevamo ormai deciso di andare in campeggio, se no, forse, non saremmo qui a raccontarlo». Giampaolo è arrabbiato: «Com’è possibile che dopo due giorni una donna che viene caricata su un’ambulanza non sia rintracciabile? Che cosa fa il consolato di Nizza? Lo sa che stamattina hanno chiamato Piero per sapere dov’era sua moglie? Non dovrebbero essere loro a darsi da fare per raccontarcelo?». Carla non aveva la borsa con sé, l’aveva persa e l’ha recuperata un’amica. Così è più difficile da riconoscere: «Ho girato tutto l’ospedale, ho diffuso la fotografia sui social ma sono ancora qui senza una risposta», dice Piero. L’unica speranza è ormai «che capiti anche a mia moglie come a quella signora della terapia intensiva che la figlia ha riconosciuto oggi pomeriggio dagli anelli».
Della signora Carla si ricorda anche Gaetano Moscato, 71 anni, di Ivrea. È al quinto piano. Un uomo forte, come la moglie che lo assiste. Lui del camion si ricorda bene: «Ero con i miei nipoti. Stavamo tornando tutti verso casa. Ho visto il camion all’improvviso, andava a una velocità pazzesca. Ho pensato che fosse ubriaco. Ho visto che non si fermava, ho spinto i nipoti lontano e mi sono gettato oltre il guard rail verso il mare. Mi sono ritrovato vivo ma con una gamba ridotta a un mucchio di ossa e sangue. La mia ex gamba, me l’anno amputata». Poco oltre anche Gaetano ha visto la signora Carla: «Ho visto che respirava e che la caricavano su un’ambulanza». La nipote di Gaetano, Alyha, 17 anni, è stata decisiva per salvare Matilde, la ragazza che non trova la madre ed è ricoverata al quinto piano. «Aliyha – racconta Gaetano – è figlia di mia figlia e vive in North Carolina. Ha frequentato corsi di salvataggio e pronto intervento nella scuola americana. Quando ha visto che Matilde aveva la caviglia fratturata, l’ha fasciata e steccata con mezzi di fortuna».
Storie di italiani che spesso si conoscono da molti anni perché in fondo Nizza è il mare di casa per piemontesi e lombardi. Vecchi amici che si ritrovano in queste ore nelle stesse stanze di ortopedia. Gli uomini dell’unità operativa della Farnesina sono arrivati ieri per cercare di dare una risposta tanti punti interrogativi. Il primo è se tra i 16 sconosciuti della morgue ci siano degli italiani e quanti. L’unica certezza è che il consolato di Nizza ha dovuto ieri smentire che ci fossero 31 italiani dispersi. «In realtà – ha dovuto precisare il Console di Nizza – si tratta di persone che non venivano trovate dai parenti e che mano a mano sono state ritrovate». Solo oggi, con il probabile arrivo degli esami del dna, si avranno risposte chiare. «Tre giorni dopo – diceva ieri un parente all’ingresso dell’ospedale Pasteur – anche una certezza dura è meglio dell’incertezza».