Corriere della Sera, 17 luglio 2016
Sull’endorsement americano
Qualche giorno fa il Presidente in carica degli Stati Uniti si è rivolto all’elettorato invitandolo caldamente a scegliere Hillary Clinton. Ma questa possibilità di schierarsi così apertamente per un candidato dello stesso partito, al termine del proprio mandato ( pur conoscendo le peculiarità della democrazia americana) non può apparire più come un limite che un pregio della stessa?
Antonio Baratta
Caro Baratta,
all’inizio del suo mandato ogni presidente degli Stati Uniti promette ai suoi connazionali che sarà il presidente di tutti. Ma vi sono altre circostanze in cui la democrazia di questo grande Paese è risolutamente e scopertamente partigiana. Il caso della Corte Suprema è particolarmente interessante. L’organo a cui è riservata la parola finale sulla costituzionalità di una legge e che può, in altre circostanze, colmare un vuoto legislativo, è quasi sempre diviso fra repubblicani e democratici. Forse Al Gore non avrebbe perso le elezioni presidenziali del 2000 se il voto di un giudice conservatore scomparso recentemente (Antonin Scalia), non avesse pesato, sul piatto della bilancia a favore di George W. Bush. Il finanziamento dei partiti sarebbe ancora contingentato, se un’altra sentenza della Corte non avesse deciso che i cittadini sono liberi di organizzarsi per finanziare a loro piacimento, senza limiti di spesa, il partito preferito: una formula che giova soprattutto ai repubblicani.
Ogni presidente, quindi, cerca di nominare il maggior numero possibile di membri della Corte. Deve attendere che si faccia un vuoto (le nomine sono a vita) e ottenere il parere favorevole del Senato, ma sceglierà uomini e donne che sosterranno le riforme legislative a cui intende legare il suo nome. Lo stesso criterio vale per i magistrati dei circuiti federali, nominati dall’Attorney General (procuratore generale), il membro dell’amministrazione che corrisponde, almeno in parte, al Guardasigilli dei governi europei. E le stesse considerazioni valgono per tutte quelle persone dell’apparato statale che sono state nominate all’inizio di una presidenza. Ogni nuovo inquilino della Casa Bianca ha il diritto di rinnovare in buona parte la sua amministrazione. Il mio primo ricordo di Washington, in un dicembre di molti anni fa, è quello di una citta semivuota. Era nel 1952, l’anno in cui terminava il ventennio democratico inaugurato da Franklin D. Roosevelt nel gennaio 1933. Di lì a poco sarebbe arrivato alla Casa Bianca un nuovo presidente: era il generale Eisenhower, un repubblicano. Molti democratici avevano già traslocato.