Corriere della Sera, 17 luglio 2016
«Tutte in pigiama». L’estate del 1966 a Portofino raccontata da Vergani, tra ragazzi yé-yé, minigonne e odalische
Articolo intitolato «L’estate yè-yè non ha turbato le notti splendide di Portofino», pubblicato sul Corriere della Sera del 17 agosto 1966
Un breve viaggio nella mitologia estiva non può che cominciare da Portofino. È questo il punto in cui batte il cuore dell’agosto, così piccolo e concentrato che si riesce a sentirlo pulsare sotto le dita, mentre più in giù, lungo le vene delle spiagge italiane, il sangue dell’estate corre via libero, i battiti sono meno avvertibili, meno scanditi. Portofino, nonostante tutto, malgrado cento altri luoghi alla moda inaugurati negli ultimi cento anni, nonostante mille palcoscenici per il grande happening delle vacanze, rimane pur sempre il nervo di tutto quell’iradiddio che viene fuori quando il termometro sale, un vetrino di microscopio con la sua brava scaglia di follia, di ricchezza, di gioventù e di sorprese.
Pendolari di mondanitàNel gioco dell’oca delle ferie chi non passa da Portofino paga pegno e ritorna donde era venuto. E per non perdere il giro, si affrontano due chilometri di coda; paraurti a paraurti, avanti un centimetro alla volta, fermi per ore sotto il sole, coi motori che arrostiscono, gentilissimi tutti all’inizio e poi sempre più cupi, via via che il tempo passa, un lentissimo tapis roulant di ferro e gomma, un pitone metallico che esce strisciando dalla sua tana allo scoccare di ogni fine settimana. Il paese si vuota e si riempie, come un polmone, continua la processione dei pendolari della mondanità, il pellegrinaggio di un’ora al santuario delle vacanze, l’Italia in sette giorni tutto compreso, valanghe di cartoline per testimoniare l’avvenuto omaggio al grande mito, una collana di noccioline o di conchiglie da portarsi a casa, come si fa a Lourdes coi rosari; è strano che nessuno abbia ancora pensato a vendere bottigliette d’acqua di mare, da usare in liturgiche e propiziatorie abluzioni invernali...
Eppure a Portofino non ci si abbronza, non si nuota, non si fanno tuffi, non si balla lo shake. Non c’è una striscia di sabbia, un pattino, un materassino pneumatico, un ombrellone, una sedia a sdraio, nessuno di quegli «oggetti», che simboleggiano le ferie tradizionali. È soltanto un luogo dove si celebra un allucinato rito estivo, un paese-idea, una invenzione della fantasia. È il magazzino di un trovarobe megalomane, dove c’è assolutamente tutto per chiunque voglia assicurarsi una particina nel film «grandi vacanze 1966». Vi approdano scatenati gruppi di yé-yé milanesi che, alle quattro dei mattino di un qualunque venerdì di agosto, vengono cacciati dagli ultimi night all’aperto della città e che si arrangiano a dormicchiare in automobile, o miliardari con l’artrosi che scendono dagli yacht a passi cautissimi e che, dopo un breve giro sulla calata, tornano silenziosamente a bordo.
I pigiami si moltiplicanoAnche la moda è polivalente: ragazze in minigonna – e bisogna notare, qui, che la minigonna, almeno in Italia, è più un’espressione di protesta che un vero e proprio fatto di moda – una ribellione guastata spesso da gambe e ginocchia «mediterranee» e altre in pigiami-palazzo, colorati come il catalogo Ingegnoli. Dopo le dieci di sera, i pigiami sì moltiplicano e la piazza del paese sembra una scena del «Ratto del serraglio», con centinaia di odalische fuggite al sultano, un frusciare di sete a disegni che ricordano quelli di Rubino vecchio Corriere dei Piccoli, rosa, verdi, violetti, gialli, tutti crudissimi e stridenti...
Le generazioni e le mode si dividono sullo scacchiere della piazza. I giovanissimi sono i primi a fuggire per lo shake notturno in una discoteca di Santa Margherita dove si balla fino alle quattro dei mattino, sotto volte di roccia come in un film del terrore. Gli altri rimangono, dato che a quell’ora Portofino diventa una tavola di valori, un luogo dove si trovano conferme, prove e assicurazioni per il giro che vuole stare a galla, perché oggi basta distrarsi un attimo e le cose cambiano, con orribili figure di non essere aggiornati, di aver perso lo scatto, sorpassati ormai nella corsa mondana da chi è stato con l’orecchio teso e le pupille dilatate.