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 2016  luglio 18 Lunedì calendario

Il padre dell’attentatore di Nizza ha cresciuto i figli a pane e jihad

Cresciuto a pane e jihad. Mohamed Lahouajej Bouhlel, 31 anni, il camionista assassino di Nizza, originario di Mseken, in Tunisia, era figlio di un noto estremista islamico che fa parte del partito islamico Ennahda, che, rispetto ai vecchi gruppi combattenti salafiti, radicati da sempre nel distretto di Sousse, sta come il Sinn Fein all’Ira. C’è un filo rosso che unisce i terroristi di oggi, di seconda o terza generazione (come i cittadini inglesi di origine pakistana che fecero saltare nel luglio 2006 il metro di Londra), con i fanatici coinvolti nelle vecchie inchieste sui Gruppi Salafiti di Combattimento, germinati negli Anni 80 e 90 fra Tunisia e Algeria, e altri gruppi minori poi diffusi nel Sud della Francia e pure in Italia. Nella sua comunità Mohamed è già un «martyr». Lo seppelliranno presto nel suo paese, non lontano dalla spiaggia dove un commando Isis trucidò decine di turisti, in un clima di complicità e di rispetto per il suo «sacrificio». Nato e vissuto «in un contesto familiare – osserva il sito tunisino TunisieSecret.com – favorevole alla violenza e al radicalismo». In un continuo interscambio di contatti e coperture.
Questi assassini-suicidi sono figli, fratelli o amici delle famiglie dei terroristi attivi dieci o vent’anni fa. In percentuale altissima. Scorrendo le pagine degli atti giudiziari dell’epoca emergono fantasmi dimenticati. Allora il brand era quello di Al Qaeda, oggi il faro è il Califfato. Ma il bacino di reclutamento è lo stesso. Sigle dimenticate: il Gia, Gruppo Salafiti per la predicazione e il combattimento, con i suoi cloni diffusi in Italia, Tunisia, Marocco e nel Corno d’Africa. Il Gspc, tra il ’95 e il 2008 predicava l’odio contro l’Occidente ma soprattutto contro la Francia. A Milano fu catturato il pianificatore degli attentati di Madrid del marzo 2004, con decine di morti. A Torino la Digos fermò l’uomo che con i camion-bomba aveva fatto saltare le ambasciate Usa in Kenya e Tanzania. Gli investigatori della ex Ucigos (ora Dcpp, Direzione centrale polizia di prevenzione) e i colleghi francesi scoprirono solo una parte delle rete logistica. Solo una percentuale era stata oggetto di arresti o semplicemente di un censimento uomo per uomo. In quelle case si respirava l’odio religioso e l’odio anti-francese. I loro ragazzi vanno a scuola, istruiti a non far trapelare nulla della loro formazione, a proteggere dalla polizia familiari e amici ricercati o in fuga.
I profili degli attentatori belgi e francesi sono straordinariamente simili. Anonimi, invisibili, indecifrabili attraverso un’attività routinaria di Intelligence. Da qui lo stupore dei media (se non degli inquirenti) per le loro vite normali o contraddittorie rispetto agli stereotipi del radicalismo. Vanno in discoteca, non osservano il Ramadan, hanno pure precedenti per piccoli reati, vestono e vivono come i loro coetanei, bevono alcol e altro ancora. Chi ricorda, oggi, il nome di Khaled Kelkal? Ucciso a Lione dalla polizia, aveva fatto esplodere una bomba artigianale nel luglio 1995 in una stazione ferroviaria a Saint Michel. Dieci morti e decine di feriti. Dice il questore Giuseppe Petronzi, ex capo della Digos: «Attenzione a non categorizzare in modo rigido gli ultimi episodi, dagli Usa alla Turchia, ma i collegamenti col passato ci sono, vanno interpretati alla luce dei continui cambiamenti».
Nel marzo 2012 il primo atto della «guerra per tutti». Quella di oggi. Senza logistica, quasi a costo zero, senza pietà. Mohammed Merah, 24 anni, rapper ma radicale islamico undercover, indottrinato anche in famiglia, fa irruzione nella scuola ebraica Eleves Ozah Hatorah di Tolosa e uccide un maestro e tre bambini. Tante stragi, lo stesso rituale: i video di auto-presentazione sui siti Isis, ma anche foto su Facebook di assassini con la maglia dei campioni di calcio, le sere in discoteca, la passione per auto o moto, i «mi piace» sui profili Fb di star della musica o del cinema. Le interviste del dopo-strage, ad amici, familiari e conoscenti, iniziano, molto spesso, così: «No, non avremmo mai pensato...».