Corriere della Sera, 18 luglio 2016
Sui comunisti che non potevano andare in America (eccezion fatta per Napolitano)
Fino alla fine degli anni Settanta del secolo scorso i membri di qualsiasi partito comunista non potevano ottenere il visto per recarsi negli Usa. Vorrei capire perché per Napolitano è stata fatta un’eccezione, quando per esempio Pavese, per lo stesso motivo (credo, ma non ne sono certo) non realizzò il suo «sogno americano».
Piero Campomenosi
Caro Campomenosi,
La storia di quella «eccezione» è stata raccontata in un libro intitolato Mission: Italy, pubblicato da Mondadori nel 2004. L’autore era Richard N. Gardner, giurista e avvocato, professore di Diritto internazionale alla Columbia University, ma anche legato agli ambienti del Partito democratico e assistente del segretario di Stato per le organizzazioni internazionali durante la presidenza Kennedy. Quando il democratico Jimmy Carter vinse le elezioni presidenziali del 1976, a Gardner fu offerto il posto di ambasciatore a Roma. Conosceva bene l’Italia, aveva sposato una veneziana, Danielle Luzzatto, che le leggi razziali avevano costretto a emigrare negli Stati Uniti, e sembrava la persona adatta a rappresentare la nuova amministrazione democratica in un Paese che stava diventando, agli occhi delle maggiori istituzioni americane, sempre più difficilmente decifrabile. L’Italia attraversava allora una fase di scosse sociali che avrebbero alimentato di lì a poco una sanguinosa stagione terroristica. Era stata governata per più di trent’anni dalla Democrazia cristiana, ma aveva un forte partito comunista che si definiva da qualche tempo «eurocomunista» e proponeva al Paese un «compromesso storico».
Le istruzioni che la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato dettero a Gardner prima della partenza erano quelle ricevute dai suoi predecessori: evitare contatti diretti con il partito comunista, dire chiaramente alla classe politica italiana e alla opinione pubblica che gli Stati Uniti non avrebbero approvato la partecipazione del Pc al governo del Paese. Ma Gardner, dopo il suo arrivo, strappò il permesso, per sé e per suoi collaboratori, di avere occasionali e discreti incontri con gli esponenti del partito comunista che sembravano maggiormente desiderosi di avviare qualche contatto con gli americani. Il primo incontro con Giorgio Napolitano ebbe luogo nella casa di Cesare Merlini, presidente dello Iai (Istituto italiano per gli Affari Internazionali). Nelle parole di Gardner, l’incontro ebbe un «notevole successo» e facilitò altri scambi di vedute con Emanuele Macaluso e Ugo Pecchioli. Su questi incontri l’ambasciata non inviò rapporti a Washington, ma Gardner ne parlò a Carter, Zbigniew Brzezinski, consigliere del presidente per la Sicurezza nazionale e ad «altri importanti funzionari del Dipartimento di Stato». Il visto a Napolitano fu il risultato di quei primi abboccamenti. Il viaggio ebbe luogo nella primavera del 1978, gli permise di parlare in alcune università americane e fu da lui raccontato in un articolo per Rinascita pubblicato nel maggio di quell’anno.