Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 18 Lunedì calendario

Qualcuno è in grado di attaccare Froome?

Che bella tappa. Che bel vincitore. Che bel fresco nella palestra di Culoz, da fuori sembrava una fornace ma c’è l’aria condizionata, un lusso per il Tour. È successo qualcosa d’importante? No. Per reazione si può giocare: aspetti un colombiano e ne arriva un altro: Pantano. Uno che va forte in salita ma anche meglio in discesa. Uno che sorride sempre. Uno che sotto la grandine di Arcalis è arrivato impugnando un ombrello azzurro. Uno portato in Europa, anzi in Italia, da Claudio Corti. Uno che vince bene, con mestiere, senza perdere la calma. Due volte staccato da Majka, due volte recupera e in volata non c’è storia. Uno che corre per una squadra svizzera, la Iam, che chiuderà a fine stagione. Oggi si arriva a Berna, poi riposo, poi solo salite, ma mi sembra poco onesto garantire tuoni e fulmini. Un po’ perché non dipendono da me, molto perché dipendono da alcuni corridori che sembrano intenzionati ad esibirsi in piccoli graffi (Aru, Bardet), ma almeno ci provano, mentre altri sembrano accontentarsi della loro classifica. Ecco, magari migliorarla un tantino, sperare che Mollema soffra di vertigini perché un secondo posto al Tour è davvero troppo, o che Yates sconti l’inesperienza e la giovane età, che Quintana si stanchi di vedere il mondo da dietro la ruota posteriore di Froome e voglia, fosse pure la seconda volta nella vita, dare quattro vigorosi colpi di pedale fuori dal gruppo, giusto per vedere l’effetto che fa.
L’unico a subire qualche danno, ieri, è stato Van Garderen, che rimedia 1’28” dai migliori e in classifica è scavalcato di 20” dal capitano Porte (partito come tenente). Copione visto e rivisto: fuga di 30 corridori, 18 le squadre rappresentate. Non mancano i bei nomi: Nibali, Tom Dumoulin, Majka, Pantano, Rolland, Alaphilippe, Pozzovivo, Morabito, Reichenbach. Troppi per stare a lungo insieme, tanto più su strade strette, con un sole che si fa sempre più sentire (34° ai piedi del Grand Colombier, del Grand Colombien nessuna traccia). E c’è la stessa parola che rimbalza dalle strade rugose, scritta col gesso, e dai campi verdissimi, scritta usando balle di paglia: Nice. In autostrada, sui tabelloni che annunciano una coda o un incidente, si legge “solidarietà a Nizza”. Parigi, Nizza, Tolosa, il giro di Francia del dolore. Si può fare anche il giro del mondo. O si può cambiare discorso.
È la prima volta che il Tour arriva a Culoz. Immagino i sorrisetti. Be’, l’etimologia è quella: dal latino culus, per un centro defilato, al fondo della valle. I volontari sono molto gentili, hanno preparato salsicce savoiarde con fagioli stufati, ma il caldo dissuade da un eventuale cupio dissolvi. L’anziano suiveur si è saggiamente dotato di albicocche. Ma qui devono avere gli stessi che riforniscono Milano di albicocche patatose. Torniamo alla fuga dei 30, che perde i pezzi. Nibali ha in mente un triplo carpiato? Sembrerebbe di sì, perché sul Grand Colombier va a prendere Dumoulin, arrivano anche Pozzovivo e Pantano. Il gruppo è lontano 9’, situazione ideale. Ma improvvisamente Nibali rallenta, si stacca, aspetta il gruppo. «Non avevo le gambe giuste per cercare una vittoria. Ho parlato con l’ammiraglia e abbiamo deciso che io e Kangert saremmo stati più utili dietro, a dare una mano a Fabio» Il quale Fabio le gambe buone se le sentiva, tanto da chiedere a Rosa, verso la metà del Gran Colombier, di forzare un po’ il ritmo. «Con quello scandito da Sky, saremmo arrivati in 40». Invece sono arrivati in 15. «Uno scatto l’ho piazzato per vedere cosa succedeva. Mi è venuto dietro Valverde, ancora devo capire perché». Devo capirlo anch’io, ma vada avanti. «Ho interrotto l’azione. Mica potevo rimorchiarlo. Ma resto ottimista. A me di arrivare decimo o settimo non importa nulla, voglio qualcosa di meglio. Sto bene e penso che nell’ultima settimana la freschezza atletica avrà la sua importanza».
Lo penso anch’io. Il guaio è che Froome sembra l’unico a poter dare uno scossone al Tour, ovviamente pro domo sua. Non ha nemmeno bisogno di intervenire di persona: ieri ha delegato il lavoro di sorveglianza a Poels. Questo può deprimere la concorrenza, lo sa? «Lo so e lo spero. Prima del via aveva detto che la Sky non si era mai presentata al Tour con una squadra così forte. La strada ci dà ragione. Poels potrebbe fare il capitano in un’altra squadra, sono fortunato ad avere intorno gente come lui». A un certo sul Grand Colombier ha fintato un attacco, bloccandosi subito. Il motivo? «Era una mossa difensiva più che offensiva.Volevo controllare le reazioni degli avversari. I più veloci a rispondermi potevano essere pericolosi. Ha risposto subito Quintana, mi si è messo a ruota ed è finita lì». Per finire, sinceri complimenti al pubblico di ieri, su salitelle e salitone. Tutti ai bordi, come si faceva una volta. Volendo, si può.