Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 18 Lunedì calendario

Poscia più che il valor poté fatica. Sulla sconfitta di Fognini

Poscia più che il valor poté fatica. Mi pare di poter così ricordare l’affermazione di un giovane collega di passaggio nella sala stampa in cui mi ero rifugiato, vittima dello stesso sole che ha infierito sul povero Fognini, portando la sua presenza in campo a nove ore e due minuti, tra ieri e sabato. Per precisione e non per sadismo, ricorderò come nei 5 set di doppio Fabio abbia trascinato il volonteroso Lorenzi per 5 ore e 28 minuti di un vano tentativo sepolto al quinto set. E ieri si sia opposto a Delbonis, appena battuto a Wimbledon, riuscendo quasi a trascinarlo al final set, dopo 4 set point nel quarto, che avrebbero condotto l’eroe di un giorno al quinto set e, temo, al pronto soccorso. Nell’esprimere la mia ammirazione al valoroso, mi permetto di riferire quanto ieri non ho dato alle stampe, per paura di essere importuno con il mio eccesso di protagonismo, ma avevo comunicato al collega argentino Guillermo Salatino. Non ho mai pensato ad una carriera di capitano di Davis, dopo che un contagio di tifo mi impedì di dirigere, per così dire, i miei amici Pietrangeli e Sirola, nel glorioso match di Perth, in cui batterono gli australiani nel 1960. Simile precedente mi ha però consentito di immedesimarmi nella parte del capitano. Sabato sera, subito dopo il doppio, avevo condiviso, col collega, un’opinione. Avrei perduto con l’improbabile coppia Lorenzi-Cecchinato il doppio per 3-0, e offerto a Fognini un pomeriggio di riposo. Mi sarei così giocato la Davis con un Fognini meno stanco, e con Seppi. Certo, l’ipotesi non è una critica al buon Barazzutti, che potrebbe rispondere: «E se il doppio l’avessimo vinto?». Tutto sarebbe stato possibile, con un’ Argentina che balbetta in Davis. Rimane però la delusione di aver assistito a un solo match che il pur ammirevole Fognini non era in grado di vincere, così come un corridore che cammina non può raggiungerne uno capace di sgambare.
Mi perseguita tuttavia il ricordo del match di Wimbledon, nel quale Fognini aveva sì faticato contro Delbonis, ma gli aveva preso le misure per far sì che l’argentino mettesse assieme solo 5 games negli ultimi due set. Che posso aggiungere a simili chiacchiere da caffè bar? Che Del Bonis ancora non si è emancipato dalle materne sottane e gioca uno stupendo tennis mancino ed atletico, privo della minima riflessione? Mi pare quasi inutile, ricordare che Fabio ha prevalso negli scambi chiamiamoli così digitali, mentre la possa del suo avversario si imponeva in quelli muscolari. Nel primo set Del Bonis è risalito grazie alla violenza da 2-4 a 6-4, superando un settimo game determinante di 18 punti, in cui Fabio ha ottenuto due palle breack. Secondo set per Del Bonis sempre in testa ma costretto a un long set, 7-5. Terzo set per Fabio 6-3 con 8 punti a 4 negli ultimi due games. E infine il quarto, a tratti grottesco se non prevalesse la pietà per Fognini, spesso seduto tra un punto e l’altro sull’ovale della racchetta o sul seggiolino di un giudice di linea, un set in cui il nostro eroe ha avuto, sul 5-4, quattro set point non certo fortunati. Aggiungo che in una squadra di trentenni, sarebbe bene trovare una riserva con una decina d’anni in meno del bravo Lorenzi. L’osservazione riguarda anche lo scriba? Forse, ma il mio è uno sport che si effettua comodamente seduti.

Italia-Argentina 1- 3:
Delbonis b. Fognini 6-4, 7-5, 3-6, 7-5.