la Repubblica, 18 luglio 2016
Pepito Rossi ci prova ancora una volta
La ricostruzione di un sogno. Pepito ci riprova, coi tifosi che lanciano cori per lui, con striscioni aggrappati alla rete intorno al campo. Loro si appigliano al loro fenomeno smarrito nelle sabbie mobili della sfortuna, un ragazzo che per la quarta volta imbocca la strada della rinascita, dopo aver perso in corsa occasioni e desideri, senza mai abbattersi, senza mai alzare bandiera bianca. Giuseppe Rossi ha combattuto con quattro infortuni allo stesso ginocchio: il destro. Quando indossava la maglia del Villarreal, nella Liga, il Barcellona aveva pronti 40 milioni. Due volte i legamenti a pezzi. Nella Liga ci è tornato tre anni dopo, quando ha capito che alla Fiorentina c’era poca strada: il gelido Sousa non credeva in lui,. E allora di nuovo la Spagna e una squadretta in zona retrocessione, il Levante, pur di giocare e sentirsi ancora una piccola stella. E adesso Rossi ha di nuovo la maglia viola addosso e qui a Moena sente l’amore della gente, anche se la distanza dal tecnico resta. Ma la favola del piccolo principe in lotta contro i demoni che gli hanno fatto a pezzi la carriera per i tifosi è un buon motivo per stargli vicino e sperare che stavolta Sousa, già poco entusiasta per la carestia di acquisti (ma Corvino sta lavorando per restituirgli un accenno di sorriso), lo prenda con sé, e cerchi un modulo adatto a lui: le due punte, o un 4-3-2-1 che lo tenga vicino al centravanti. E un ritiro senza big (Kalinic e gli altri reduci da Europei e Coppa America arriveranno dopo) fa di Pepito una ragione per sedersi in tribuna col vento gelido che ti sbatte in faccia: due gol, un assist di tacco nella prima amichevole e un bel po’ di dribbling mettono insieme gli applausi che servono per sentire di nuovo il calcio sulla pelle. Ieri un’altra rete contro il Feralpisalò (3-1 per i viola).
Calcio di metà luglio, certo, ma sempre pallone è.
E mentre Rossi cerca di tornare ciò che era, intorno a lui crescono voci e possibilità. Il suo manager Andrea Pastorello è salito fin qui per tranquillizzarlo sul futuro: se Sousa non lo vuole, ci saranno altre possibilità. Ufficialmente il tecnico ha parole mediamente affettuose per il suo attaccante («lo vedo carico e motivato» ha detto ieri), ma Pepito si ricorda quando si scaldava mezz’ora per poi restare fuori, e quando lo davano per finito o poco utile alla causa. Lui, che aveva ribaltato la Juventus al Franchi, quel 20 ottobre del 2013: da 0-2 a 4-2, in pochi minuti. Un eroe, un ricordo stampato col fuoco sulla pelle del cuore. Solo che nessuno gli ha ancora accennato a un rinnovo del contratto, che scadrà tra un anno. Già. Un ragazzo normale, Pepito, l’americano d’Italia che ha fallito gli appuntamenti della Nazionale perché in infermeria. Ironia della sorte, quando stava da Dio fu Lippi a lasciarlo a casa, pentendosene poi e ammettendo la svista. Ora il ragazzo che ama l’Hip Hop e l’Nba si gioca l’ultima carta per tornare se stesso. Niente e nessuno gli ha strappato di dosso la voglia e scalfito l’orgoglio. Neanche tutte le volte che si è sentito soffiare dietro le spalle un perfido “è un ex”. Pepito ha accettato di tagliarsi l’ingaggio, di andare a retrocedere (ma segnando sei gol) nel Levante, di sentirsi trattato quasi come un grande talento del passato. Ma adesso Giuseppe Rossi è pronto alla nuova sfida, l’ennesima. Nella Fiorentina, se Sousa gli dice ok, oppure altrove. E se il giorno della presentazione ha scelto il silenzio davanti alla folla forse è solo perché barare con le parole non sarebbe giusto. Perché ricostruire il sogno è roba tosta: vuol dire correre, dribblare, segnare, sentirsi vivo e amato dalla gente. E allora si ricomincia. Da qui, per ora.