la Repubblica, 18 luglio 2016
Ridendo e balbettando con Filippo Timi
Attore, regista, scrittore, Filippo Timi non ha filtri. È il suo bello. Passionale, provocatore ma anche fragile, al cinema è stato Mussolini per Bellocchio, a teatro un Amleto debordante e pop, un Don Giovanni eccessivo (con uno strepitoso cappotto di fiori), in tv, su Sky, è il barista-detective nella serie dei Delitti del BarLume dai libri di Marco Malvaldi. Prepara il nuovo varietà per RaiTre (in onda l’anno prossimo) Skianto che ha il titolo del suo struggente monologo teatrale – un bambino disabile che sogna di uscire dal proprio corpo e vivere – ha doppiato Manny il mammut dell’Era glaciale- In rotta di collisione che uscirà il 22 agosto. Ha la voce profonda ma fuori scena balbetta, s’inceppa e ricomincia aggrappandosi al suo dialetto umbro, e ride. Risata da seduttore: «Che idea, però è davvero bello essere amati. Ma la cosa più bella è essere liberi di amare».
Ha capito il segreto della felicità?
(Ride) «No, non lo so. Ma ho capito che è la vita a scegliere in continuazione le cose, prima che sia tu a decidere».
Timi, veramente fa tante cose e sceglie: quando ha deciso di fare il doppiatore?
«Me l’hanno chiesto e mi è sembrato fantastico, ho doppiato Manny poi mi hanno fatto fare il cattivo di Batman, e ho dato la voce al papà di Malala nel documentario.Tutte esperienze che mi sono piaciute».
Com’è dare la voce a un mammut?
«Ma il mammut è una rockstar! Come Michael Jackson e Shrek, anche loro sono divi. Mammut è un solitario che scopre l’amicizia con Sid e gli altri.
L’era glaciale alla fine è una grande storia di amicizia tra creature diverse. Più che il personaggio in sé – quando mai avrei mai pensato di fare un mammut nella vita- quello che mi piaceva è la storia del film, poter raccontare il rischio del disastro ambientale. E poi è divertente».
Che anno è stato?
«Non si fa mai quello che uno vuole per fortuna se no faremmo un sacco di cavolate. Quest’anno ho capito che bisogna un po’ ascoltare la vita e lei ti porta dove vuole. Ti metti in testa di fare tre cose, magari ne fai una poi fai altro. Com’è successo per Casa di bambola, nel mio caso è il teatro che sceglie un po’ me, mi chiama. Un’ossessione e non riesco a smettere».
Però ha fatto tanto cinema, e adesso oltre alla fiction farà anche un varietà in tv per RaiTre.
«Provo adesso che ho superato i 40 anni, sperimento sempre a patto che ci sia la qualità e nella serie dei Delitti del BarLume l’ho trovata. È il quarto anno ormai che ci conosciamo, è come ritornare in famiglia: già ti sei mandato a quel paese, ti sei già annusato, sai come si comporta quello, come agisce quell’altro..».
La televisione un po’ la spaventava?
«In generale spaventa un po’ chi arriva dal teatro. Il teatro si fonda sul “qui e ora” e su un pubblico necessariamente ristretto; in tv è tutto esponenziale e bisogna avere un senso morale perché sei dentro un oggetto che sta nelle case di milioni di persone, arrivi in salotto e stai sotto la foto del matrimonio, prendi il caffè con loro. E infatti la gente pensa di conoscerti».
Lo dice con una faccia.
«Sì perché col pubblico si crea questa strana familiarità, ti dicono: “L’ho vista l’altra sera”. I delitti del BarLume regala un sorriso, sempre. L’umorismo mai volgare con una detection mai troppo tecnica con tipetti ottantenni mai noiosi crea nel racconto un equilibrio ideale».
Com’è nata l’idea dello show “Skianto” per RaiTre?
«Sono affezionato a Daria Bignardi da quando mi ha intervistato per il libro Tuttalpiù muoio, poi ci siamo frequentati perché abbiamo amici in comune a Milano. Parlando con lei ho pensato che si poteva sperimentare in televisione».
Va bene ma che tipo di varietà è?
«Skianto è il primo “one monster show”, è la storia dei personaggi che mi porto dentro dall’ infanzia che si schiantano con la vita, le contraddizioni, gli amori. È come mettersi nel posto davanti nella cabina sulle montagne russe, chiudere gli occhi poi aprirli di fronte al sogno, lasciare il manubrio – tre, due, uno – e allargare il cuore».
Che paura.
«Pauroso e liberatorio. Tra monologhi e canzoni si mescolano i generi, gli ospiti faranno con me delle cose. Sarà un modo per conoscersi».
Ha portato a teatro il monologo “Skianto”: c’è qualcosa in comune?
«Ho scritto lo spettacolo dove interpreto una creatura handicappata e lì mi sono immaginato un Pinocchio, anzi una Pinocchia chiusa dentro se stessa, cieca come se nessun Geppetto l’avesse mai scolpita, con tutte le emozioni sigillate. Sono cresciuto con una cugina così ed è stato un regalo tragico, davanti a una cosa così grande ti senti spiazzato. Ho capito che siamo tutti Pinocchi chiusi dentro un ceppo, chi per un verso chi per l’altro. Nello spettacolo raccontavo la storia di una persona, invece in Skianto – One monster show, prendo il principio di quello schianto e lo applico al quotidiano. Sono io, Filippo Timi, a schiantarmi con la mia vita. Stanislavskii dice: entrando in scena a chi dedichi lo spettacolo? A mia cugina Daniela come se fosse una specie di risarcimento di amore. L’idea mi dà energia e infatti parlerò in umbro. Anzi, in perugino. Torno alle radici».