la Repubblica, 18 luglio 2016
L’anno in cui non ci fu l’estate. Cronaca del 1816
Un vulcano dall’altra parte del mondo sconvolge l’Occidente, lo mette in ginocchio, ma alla fine lo risparmia. E l’uomo reagisce mostrando capacità sorprendenti e restituendo all’umanità pagine di letteratura, dipinti e invenzioni che fanno parte del nostro vivere quotidiano, dai quadri di William Turner alla bicicletta, dal Frankenstein di Mary Shelley al Vampiro di John Polidori, capostipite di un genere letterario che
avrà il suo apice con il Dracula di Bram Stoker. E poi la corsa all’Ovest e la nascita del movimento religioso dei Mormoni.
Succede tutto duecento anni fa, 1816. Da qui bisogna partire per leggere avvenimenti in apparenza totalmente scollegati fra loro, anche se per raccontare questa storia è necessario tornare indietro di un anno ancora, al 1815. Ad aprile il Tambora, vulcano che si trova sull’isola di Sumbawa, Indie Orientali Olandesi, oggi Indonesia, comincia a far tremare la terra. Sono boati simili a esplosioni, colpi di cannone che mettono in allarme la flotta inglese, che ancora presidia l’area in attesa di restituirla agli olandesi. Sir Thomas Raffles, governatore dell’isola di Giava e colui che fonderà Singapore, teme un attacco dei pirati, ma capisce in fretta che qualcosa di sconvolgente sta per accadere, come racconterà nelle sue memorie.
Per settimane detriti, ceneri e polveri punteranno verso il cielo, in una colonna alta quaranta chilometri. Una delle più devastanti esplosioni vulcaniche della storia, classificata all’indice 7 di una scala che ha il suo apice al numero 8, superiore, per intenderci, a quella di Santorini (XVII secolo a.c.) o del Vesusio (79 d.c.) che cancellò Pompei ed Ercolano.
Nella stratosfera si calcola che siano stati proiettati dalla bocca del vulcano 150 miliardi di metri cubi di detriti e polveri. Il vulcano, che prima dell’esplosione era alto 4.100 metri, alla fine scenderà a 2.850. Nell’arco di settantacinque chilometri tutto verrà coperto da un metro di cenere, ma le polveri arriveranno fino a oltre 1.300 chilometri di distanza. Cenere, gas tossici sprigionati, tsunami e poi carestie e malattie provocheranno oltre centomila morti, ma gli influssi dell’esplosione arriveranno lentamente in tutto il mondo, fino a colpire l’Occidente, Stati Uniti ed Europa, l’anno successivo. Le polveri stazioneranno per anni nell’aria, i raggi del Sole saranno schermati e il mondo conoscerà il suo “anno senza estate”, il 1816, ribattezzato da giornali e riviste dell’epoca come “1800 e morire di freddo”.
C’è chi anticipa gli effetti del Tambora già allo stesso anno dell’esplosione, finendo così per incidere addirittura sulla sconfitta di Napoleone a Waterloo. Si sa che la causa della disfatta francese ha motivazioni tattiche e strategiche ben definite, così come evidenti sono le responsabilità dei generali di Napoleone, ma in quei giorni di metà giugno il freddo innaturale e la pioggia incessante incisero sulle dinamiche della battaglia. La velocità d’azione su cui puntava Napoleone per scontrarsi e battere separatamente inglesi e prussiani venne di fatto cancellata dalla pioggia e dal terreno pesante. La cavalleria francese fu costretta a rallentare la sua azione e anche l’artiglieria, famosa per i suoi attacchi a colpi di cannone con la tecnica del “rimbalzo”, venne fermata dal fango, con le palle che si conficcavano nel terreno bagnato.
Ma è soprattutto nel 1816 che il cielo coperto dalla polvere sconvolge le vite degli uomini. Nevicate innaturali a giugno, piogge torrenziali e freddo invernale colpiscono le colture e distruggono i raccolti, provocando carestie violente. Negli Stati Uniti saranno in molti a cercare rifugio verso l’Ovest, con un movimento migratorio che raddoppierà nel biennio 1816-1817. Costretta a spostarsi dopo aver perso tutto il raccolto nel 1816 sarà anche la famiglie di Joseph Smith junior, il fondatore del Mormonismo, che si trasferirà a Palmyra, nello Stato di New York, in una comunità pervasa da frenesia religiosa. All’età di 14 anni, nel 1820, Joseph avrà la sua prima visione divina e nel 1830 darà vita al nuovo movimento religioso.
In Europa in barone tedesco Karl Friedrich Drais, inventore per passione, di fronte alla moria di animali da tiro per la mancanza di foraggio e al fatto che essi stessi sono diventati alimento per la popolazione stremata dal- la carestia, mette a punto un “cavallo meccanico” antenato della moderna bicicletta, la draisina, con ruote di legno a otto raggi e un manubrio che orienta la direzione. Unica differenza con le moderne biciclette, il fatto di non avere ancora i pedali e quindi di essere spinta con i piedi.
William Turner, straordinario indagatore della forza della natura, capace di penetrarla vivendola dall’interno, dedicherà a quell’estate dipinti straordinari. Le rare giornate di sole schermate dalle polveri del Tambora si trasformano in tramonti fiammeggianti che il pittore inglese immortala in decine di quadri.
Ma è sul lago di Ginevra che forse si scrive la pagina più nota, dal punto di vista letterario, di quel 1816. Costretto quasi sempre in casa dalla pioggia incessante, un gruppo di romantici inglesi decide di sfidarsi a colpi di novelle terrificanti. È la celebre sfida che George Byron lancia ai suoi amici ospiti di Villa Diodati. Con lui ci sono il suo medico personale, assistente e amico John Polidori, Percy Bisshe Shelley e Mary Wollstonecraft, diciannovenne che di lì a poco diventerà la signora Shelley, oltre a una schiera di amici e conoscenti.
È Mary a compiere il disegno più ardito, cimentandosi con la storia di Victor Frankenstein affascinato dall’idea di ridare vita a un corpo morto. L’elettricità, che il mondo stava cominciando a conoscere in modo sempre più evidente, darà a quel corpo morto, creato dall’unione di pezzi di cadaveri, la scossa, il principio di vita. Il tema era dibattuto da tempo ed è probabile che la comitiva inglese fosse a conoscenza degli esperimenti compiuti proprio a Londra da un medico italiano, Giovanni Aldini, che in veri e propri show, terrificanti e cruenti, mostrava come l’elettricità potesse rianimare, anche se per pochi istanti, corpi morti. Ma in quell’estate svizzera non è da meno l’impresa del meno noto John Polidori che si cimenta con un altro racconto breve, prendendo spunto dalla figura romantica dell’amico Byron, The vampire, che avrebbe conosciuto popolarità con le gesta di Dracula.