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 2016  luglio 16 Sabato calendario

Il Tour de France continua nonostante tutto, senza allegria

LA CAVERNE DU PONT D’ARC
Vince Tom Dumoulin. A vent, ci sarebbe da aggiungere, se qualcuno avesse voglia di scherzare. Ma qui non ce l’ha nessuno. Da Prudhomme a Hinault, tutti quelli dell’organizzazione hanno una fascia nera al braccio sinistro. Anche molti delle squadre portano un segno di lutto. La carovana pubblicitaria ha fatto la sua sfilata senza musiche e senza atteggiamenti festosi. Niente premiazione, miss, baci e fiori alla fine. Dumoulin e i detentori delle varie maglie tutti insieme sul palco per un minuto di silenzio. Poi il pubblico applaude, gli organizzatori applaudono ma nessuno dei corridori lo fa. Le braccia lungo i fianchi o dietro la schiena. Grazie. Il più commosso è Froome, forse piange. Sarebbe la seconda dimostrazione di umanità in 24 ore, dopo la paura e l’angoscia nell’ultimo km del Ventoux.
Paura e angoscia, due parole che dopo Nizza non hanno senso, questa è solo una corsa in bici. Oppure due parole da spostare su Nizza, con altre (dolore, follia), come poveri fiori calpestati. Ed è ancora Froome, fascia nera al braccio sinistro, a ribadirlo, iniziando una conferenza- stampa che subito finisce: «Scusate, ma non risponderò a domande sulla corsa. Penso a Nizza, una città che conosco bene, mi alleno spesso sulle sue strade, cammino sulla Promenade des Anglais. Il mio pensiero va alle famiglie colpite. Non c’è altro da dire».
Anche oggi, alla partenza da Montelimar, un minuto di silenzio. È mai stata presa in esame la sospensione della corsa? Dice Prudhomme: «Sì, insieme ad altre eventualità. Ci siamo consultati con alte cariche dello Stato. La decisione è stata unanime: andare avanti. Andiamo avanti con un pensiero ai morti, ai feriti, alle loro famiglie. Andiamo avanti con dignità».
La strage di Nizza ha cancellato, almeno ieri, allegria e polemiche. Più polemiche che allegria. Alla Movistar citavano un episodio precedente: nella discesa di Gordes erano caduti tre Sky e Froome, in testa al gruppo, con le mani invitava alla calma. «Non era una caduta seria, era pure colpa loro, non era coinvolta la maglia gialla ma isolata sì. Potevamo attaccarlo e non l’abbiamo fatto. Ma applicare un regolamento che non c’è è un precedente pericoloso». Pericoloso, altro aggettivo che perde peso. Sicurezza, altro sostantivo che pedala forte. Se sulla salita- simbolo, in una data-simbolo, non si garantisce la sicurezza del corridore-simbolo, di che stiamo parlando? In realtà, se il pubblico non perde la testa e invade il campo, sulle strade il Tour vede mediamente otto poliziotti per chilometro, uno ogni cento metri circa. Più controlli cortesi ma ben eseguiti all’ingresso della zona tecnica, della sala stampa, degli alberghi dove alloggiano le squadre. La crono di ieri non era facile: 7 km di salita non micidiale ma continua, da subito, per gradire, e altri 4 nel finale. Sui falsopiani serviva una potenza che Dumoulin e Froome hanno avuto, come altri specialisti (Oliveira, Coppel, Dennis. Molto buono il sesto posto di Mollema che lo trasporta al secondo nella generale. Nibali, senza impegnarsi allo spasimo, rimedia 3’29” da Dumoulin, Aru impegnandosi molto prende una sberla da 4’25”. Già dal primo rilevamento, sotto di 58” dopo i 7 km di salita, s’era intuito che per lui non era giornata. «Eppure le sensazioni erano buone, qualcosa è andato storto ma non so cosa. Con qualcuno, come Bardet e Martin, me la posso ancora giocare, importante è non abbattersi».
Circoletto rosso intorno alla tappa di domani. Ieri l’Ardèche, le sue gole, i suoi fiumi, la sua bellezza isolata, anzi solitaria. Solo tre centri abitati hanno più di 10mila abitanti e diritto a chiamarsi città. Da quando ho letto che Alfonso Gatto ogni volta che il Tour passava da Tarbes portava un garofano rosso sulla tomba di Théophile Gautier, ho deciso di copiarlo. Dove capitava: Sète per Brassens, Lourmarin per Camus, Jean Ferrat ad Antraigues-sur-Volane, paesino di cui era stato anche sindaco e doveva aveva scelto di vivere «una vita vera» lasciando Parigi. Ci ero già stato e ci sono tornato. La novità è che da tre anni la sua casa è diventata una casa- museo aperta al pubblico, ma non avevo il tempo necessario a una devota visita. Indirizzo: place de la Résistance. Sulla tomba, Jean Tennenbaum detto Ferrat e due date. Il padre fu deportato ad Auschwitz e non tornò. Ferrat fu il primo a fare canzoni sui vagoni piombati che partivano da Parigi e non il primo ma il più bravo a musicare le poesie di Louis Aragon, che non era un tipo facile ma disse: «Le mie poesie non potranno mai più essere separate da queste musiche».
Il fiore, una spiga di lavanda. E poi in auto un paio di cd, “Ma France”, “C’est si peu dire que je t’aime”, “On ne voit pas le temps passer”. I cd erano in valigia, non sapevo che li avrei ascoltati dopo Nizza perché avevo bisogno di sentire alcune parole: amore, amicizia, solidarietà. Un innocente doping. Si va avanti.