la Repubblica, 16 luglio 2016
Alla fine Obama ha scelto Erdogan
Mancano pochi minuti alle dieci di sera. Il mondo trattiene il fiato. E cerca di capire come andrà a finire. Il colpo di stato in Turchia ha preso tutti alla sprovvista. Mentre le agenzie lanciano i primi flash con la notizia, il segretario di stato americano Kerry è riunito a Mosca con il ministro degli Esteri russo Lavrov per discutere di Siria. In Mongolia, Angela Merkel e i vertici delle istituzioni europee, Jean Claude Juncker, Donald Tusk e Federica Mogherini partecipano ad una riunione dell’Asem con i leader asiatici, primi tra tutti quelli cinesi. Le informazioni frammentarie che arrivano da Ankara e Istanbul sembrano però cogliere tutti di sorpresa.
I primi commenti sono improntati alla massima cautela. Sia Kerry sia Lavrov chiedono «stabilità» e «continuità». Nessuno dei due, però, condanna apertamente i golpisti o si schiera in modo inequivocabile a difesa del governo legittimamente eletto. Si sbilancia di più l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, che con un tweet invita «alla calma e al rispetto delle istituzioni democratiche». Sia di qua sia di là dell’Atlantico, la Turchia è un partner cruciale in questo momento. Troppo cruciale per consentire passi falsi o prese di posizione arrischiate prima di capire quale possa essere l’esito del golpe. Per la Nato e per gli americani, che dalla base turca di Incirlik fanno decollare i bombardieri diretti in Siria, la Turchia è un alleato fondamentale nella lotta contro lo stato islamico. Al punto che tutti preferiscono far finta di ignorare le passate complicità di Erdogan nei confronti dell’Is. In Turchia, inoltre, è basata la missione navale della Nato Snmg2, cui partecipano anche imbarcazioni inglesi, tedesche e greche.
Per gli europei, che hanno appena stretto con Erdogan un patto di ferro con l’obiettivo di fermare il flusso dei rifugiati siriani in Grecia in cambio di aiuti per sei miliardi di euro, la Turchia è diventato un interlocutore indispensabile nella gestione dell’emergenza migratoria. Un partner certo difficile e scomodo, visto i crescenti attacchi del governo alle libertà democratiche e le tentazioni autoritarie. Ma con il quale occorre comunque fare i conti su una serie di dossier delicatissimi che riguardano i negoziati di adesione, a partire da quello per la liberalizzazione dei visti.
Anche per Mosca la Turchia è un pezzo fondamentale sullo scacchiere mediorientale. Dopo un periodo di fortissima tensione culminato con l’abbattimento di un jet russo da parte della contraerea turca, il Cremlino ed Erdogan hanno cominciato una fase di difficile riconciliazione. E infatti Vladimir Putin fa sapere di essere «costantemente tenuto al corrente degli sviluppi della situazione». Il suo portavoce Dimitri Peskov tiene a precisare che il governo russo non è stato contattato né dai golpisti né dagli uomini di Erdogan, ma conferma che la Russia «è estremamente inquieta» e chiede che la Turchia «torni sul sentiero della stabilità politica».
Anche Obama, alla Casa Bianca, viene tenuto costantemente informato sugli sviluppi della situazione. E all’una di notte, ora italiana, rompe un silenzio durato quasi tre ore schierando gli Stati Uniti in difesa «del governo democraticamente eletto». E mentre le agenzie riportano le notizie dei primi morti per le strade invita i golpisti «ad evitare un bagno di sangue». Più o meno alla stessa ora arrivano le prime dichiarazioni dei governi europei. Cominciano i premier di Estonia e Lituania. Poi arriva il governo tedesco: «L’ordine democratico in Turchia deve essere rispettato». Il segretario di stato americano Kerry fa sapere di aver parlato al telefono con il suo collega turco Cavusoglu: «Ho messo in evidenza il sostegno assoluto degli Stati Uniti per il governo turco democraticamente eletto e per le istituzioni democratiche». A stretto giro, il segretario generale della Nato, Stoltemberg, invita «al pieno rispetto delle istituzioni democratiche in Turchia». Il golpe sembra avviato al fallimento. Il mondo riprende, prudentemente, a respirare.