MilanoFinanza, 16 luglio 2016
Il Cavallino di Marchionne si è già fermato
In Formula 1 si è ormai in vista del giro di boa di metà stagione (si sono disputati dieci gran premi su 21) ed è ormai evidente che qualcosa non torna in quello che a tutti gli effetti è il primo anno di gestione Ferrari di Sergio Marchionne. Il 2016 infatti è stato il primo anno in cui il manager italo-canadese ha potuto gestire la scuderia emiliana a suo piacimento dopo che ne prese in mano le redini nell’autunno 2014 disarcionando (pur in presenza di ottimi risultati di bilancio) l’allora presidente Luca Cordero di Montezemolo utilizzando i presunti scarsi risultati sportivi. «Nel caso di Ferrari i manager si valutano anche dai risultati nelle gare e sono sei anni che non vinciamo», spiegò all’epoca Marchionne dimenticando che nella sua esperienza a Maranello Montezemolo portò a casa sette mondiali piloti.
Infatti se nel 2014 il manager arrivò effettivamente a stagione conclusa e quindi poco poté contare su quel campionato, e se nel 2015 egli stesso avanzò l’attenuante di aver corso con una macchina che era il risultato di scelte di altri (ogni riferimento a Montezemolo pareva voluto), quest’anno non sembrano per lui esserci scusanti per un fallimento ormai conclamato. La Rossa a metà stagione sembra già fuori dai giochi per conquistare il titolo iridato e cosa non meno grave la Ferrari, che era partita come la seconda favorita (alle spalle delle Mercedes), ora soffre di sviluppo e si ritrova a rincorrere anche le Red Bull oltre le frecce d’argento di Stoccarda.
Nei fatti quindi uno scenario ben diverso da quello ipotizzato dallo stesso Marchionne ai primi di gennaio, quando insieme al premier Matteo Renzi presenziò alla quotazione del titolo di Maranello alla Borsa italiana. «Abbiamo fatto tutti gli investimenti richiesti da Arrivabene (il team principal, ndr) e quindi abbiamo le persone giuste in ogni reparto per raggiungere il vero e unico obiettivo: riportare il titolo a Maranello», spiegò quel giorno in Piazza Affari. Invece sette mesi più tardi la realtà è molto più amara e l’ipotesi più accreditata è quella di una nuova rivoluzione, con la posizione di Arrivabene particolarmente in bilico.
Bisogna anche notare che in attesa della pubblicazione della semestrale (a inizio agosto) sul lato bilancio la gestione Marchionne è più che incoraggiante. Il primo trimestre (chiuso con ricavi in crescita del 9% a 675 milioni e utile netto in crescita del 19% a 78 milioni) è riuscito a migliorare ulteriormente i già ottimi rendiconti degli anni passati e le stime per l’intero esercizio parlano di ricavi oltre quota 3 miliardi. Una riprova (se mai ce ne fosse stato il bisogno) che la forza del brand Ferrari va oltre i risultati sportivi immediati. Ma anche qui si ritorna sul lato sportivo. Come ha sempre spiegato Marchionne, il mito Maranello non ha il fiato lungo se non lo si alimenta con le vittorie in gara. E quindi per mantenere questi risultati economici nel medio termine è necessario ottenere successi in campo sportivo.
Il Cavallino però non appare seduto soltanto in pista. La discontinuità della gestione di Marchionne (che oltre a essere presidente della Rossa è anche amministratore delegato di Fca ) è stata segnata anche dalla separazione di Maranello dal Lingotto e la successiva quotazione della scuderia alle borse di New York in ottobre e Milano a inizio anno. Una manovra che senza dubbio ha avuto il merito di estrarre un grande valore per l’azionista di controllo Exor, ma che nel medio periodo sta mostrando la corda per gli investitori della prima ora. Il titolo che nelle prime ore di quotazione a Wall Street aveva ottenuto la palma di titolo più caro del mondo (in termini di rapporto prezzo/utili stimati) superando la maison di moda Hermès, nelle successive sedute ha man mano perso quell’allure de luxe. E ha anche subito più dell’ipotizzabile (dato il mito che rappresenta) le turbolenze di borsa degli ultimi tempi. L’azione (che ha chiuso la settimana a 38,3 euro) ha registrato infatti un calo di oltre il 12% dalla data di quotazione a Milano e di oltre il 18% da quella dello sbarco a Wall Street.
Non rendendo certo felici gli investitori della prima ora. A completare poi un quadro non del tutto rassicurante c’è poi il fatto che da maggio lo storico amministratore delegato Amedeo Felisa ha dato le dimissioni ed è stato rimpiazzato proprio da Marchionne, che quindi ora non è più solo il numero uno assoluto al Lingotto ma anche a Maranello, dove assomma sia la carica di presidente sia di amministratore delegato. Un ruolo da plenipotenziario della scuderia in cui dovrà dimostrare tutto il suo valore in un settore (quello del lusso e delle competizioni sportive) che non gli è naturale come la finanza e il mass-market. Anche perché i rumors indicano che Maranello potrebbe essere la sua destinazione ufficiale una volta che al Lingotto avrà terminato il suo mandato.