Il Sole 24 Ore, 16 luglio 2016
E ora in Rcs sarà rivoluzione?
Per Rcs Mediagroup potrebbe prospettarsi una rivoluzione totale. L’esito del confronto tra Urbano Cairo e la cordata International Media Holding capitanata dalla Investindustrial di Andrea Bonomi ha decretato la netta vittoria dell’editore alessandrino. E ora per il gruppo editoriale potrebbero esserci dei cambiamenti radicali. Molto dipenderà dalla resistenza che farà Imh, che ieri ha tuttavia riconosciuto la vittoria del competitor, e da come si esprimerà Consob in materia di “offerta prevalente”. Sulla carta, tuttavia, la quota raccolta da Cairo Communication appare più che sufficiente all’azienda per prendere le redini di Rcs. Ciò significa che il primo punto all’ordine del giorno potrebbe essere il cambio al vertice della società che edita Il Corriere della Sera con l’ascesa di Urbano Cairo sulla poltrona da amministratore delegato.
Di conseguenza muterà sensibilmente anche il piano industriale e strategico della Rizzoli. In che direzione è già possibile dirlo, almeno parzialmente, considerato che nel prospetto informativo dell’Opas, Cairo ha dettagliato in che modo intende intervenire.
Le idee di Cairo
Come detto, il primo punto del progetto di Cairo è in netta contrapposizione con quella che era l’intenzione di International Media Holding rispetto alla governance di Rcs Mediagroup. Già nel primo prospetto l’imprenditore era stato netto: il management andava sostituito. La volontà precisa, d’altra parte, è sempre stata quella di prendere direttamente il timone della Rizzoli per realizzare un progetto basato su due direttrici principali: «Il raggiungimento della massima efficienza e la realizzazione del pieno potenziale di crescita dei ricavi», come recita il documento dell’Opas. Il taglio dei costi è contenuto in una ricetta piuttosto mirata e frutto di un mix fatto di razionalizzazione delle spese e ricerca di ogni possibile sinergia con Cairo Communication. Ecco quindi una serie di passaggi ritenuti fondamentali sul fronte dei costi: la re-internalizzazione di alcune attività oggi esternalizzate, la saturazione dei centri stampa, l’integrazione delle redazioni carta-digitale e la revisione dei progetti di approvvigionamento. Da accompagnare con alcune iniziative sulle sinergie: come un modello di servizi condivisi Rcs-Cairo Communication, l’integrazione delle attività di distribuzione, la creazione di economie di scala, magari anche sul fronte della raccolta pubblicitaria.
I risparmi, per forza di cose, dovranno però essere abbinati a un rilancio dei ricavi grazie a più contenuti, a una spinta sul settore del digitale con la ricerca di ogni mezzo possibile per incrementare la monetizzazione del traffico, alla messa a profitto della posizione di leadership che Rcs vanta nel mondo dello sport in Italia e Spagna (magari ipotizzando lo sviluppo verticale degli eventi sportivi in primis il Giro d’Italia che, come ha più volte sottolineato Cairo non può alimentare un volume d’affari di appena 25 milioni contro i 110 milioni del Tour de France).
Il tutto senza dimenticare la possibilità di ridefinire l’informazione locale e magari lanciare nuovi verticali dal contenuto specializzato (in settori quali motori, immobiliare, salute, lavoro, lettura, cibo e cucina, arredo e design, viaggi). Questo è ciò che ha in mente Cairo per ridare smalto al gruppo che edita Il Corriere della Sera. E per farlo, sulla base delle informazioni ora disponibili, a partire dall’esercizio 2017 realizzerà investimenti non superiori rispetto ai valori storici del gruppo Rcs negli ultimi due-tre esercizi e stimabili in circa 25/30 milioni di euro all’anno.
Il piano Imh
Diversamente, il progetto di Imh, ormai tramontato, sarebbe stato nel segno della continuità sul fronte di governance e linee guida: «Sostenere e accelerare il processo di ristrutturazione positivamente avviato dall’attuale management», era il proposito contenuto nel documento d’Opa. Per i soci di International Media Holding il piano messo a punto il dicembre scorso dall’amministratore delegato Laura Cioli dunque era un ottimo punto di partenza, tanto più alla luce «del miglioramento della profittabilità registrato nel primo trimestre del 2016». Quel business plan, al momento ancora attuale, puntava a raddoppiare l’Ebitda, pre-oneri non ricorrenti, dai 70 milioni di fine 2015 a 140 milioni nel 2018, raggiungendo una marginalità del 13%, con utili netti per 40 milioni. E a ridurre il rapporto net debt/Ebitda intorno a 2 a fine triennio, con l’indebitamento netto che sarebbe dovuto scendere a 290 milioni dai circa 500 milioni di fine dicembre. Il tutto in un contesto dove i ricavi sono stimati in crescita dell’1,5% all’anno rispetto al miliardo attuale. Nel primo anno di piano, il 2016, l’obiettivo è il breakeven con un Ebitda dell’ordine del 10%, prima delle poste non ricorrenti.