La Stampa, 16 luglio 2016
Nella piccola casa del killer di Nizza
Quando finisce la semioscurità di un ballatoio al dodicesimo piano sul quale si affacciano quattro porte, la prima cosa che noti è la luce abbagliante della plafoniera sul soffitto dell’ingressino, le pareti colorate di azzurro, il tendaggio rosa che scende a sinistra, a panneggio, e vorrebbe creare un contrasto gradevole. Poi ti inoltri e trovi una casa in miniatura, ma ben calibrata. Una cucina che è tutt’al più un piano cottura con il tinello con la tavola, poi le due stanze da letto: quella per gli adulti, quella per i tre bambini. Siamo all’estrema periferia nord di Nizza e, quando poi ti sporgi dal davanzale, la Promenade des Anglais la vedi davvero, ma è una lineetta davanti al mare. Basta un po’ di traffico e ci vuole mezz’ora per raggiungerla. Questo era il mondo del massacratore del camion, piccolo mondo di antipodi e contraddizioni geografiche, ideologiche, caratteriali.
Les Résidences de Rouret sono, a tutti gli effetti, una banlieue. Ma questo termine va spogliato di ogni connotato di degrado, abbandono, desolazione. Non sono un luogo dimenticato, non sono un ghetto. «Sono un posto dove si può anche vivere bene, rispetto ad altri quartieri di Nizza», sorride Ben, tunisino, che qui abita da più di cinque anni. Le immobiliari che le propongono le definiscono addirittura residence. Non lo sono, ma nemmeno sono come tanti palazzoni sgraziati che mortificano le periferie italiane. Il palazzo dove viveva il massacratore di Nizza è uno standard che si ripropone dieci volte all’estrema periferia nord. Massiccio, ma non un pugno nell’occhio. Più su non c’è più nulla, solo il nastro dell’autostrada.
Civico otto di boulevard Henri Sappia. Bouhlel viveva qui, con la sua famiglia. Ogni palazzone prende il nome di una provincia e qui la sorte ha deciso per la Bretagna. Bretagne 1, 2, 3. Al numero quattro compare, tra le targhette del citofono, quella del killer. In ogni scala ci sono 52 appartamenti: in totale, è un edificio che ospita 208 famiglie. Scorri i nomi e scopri che non ce n’è quasi uno francese. Tutti arabi o africani. Una giornata intera affacciati ai balconi. Prima, la mattina, per il blitz della polizia nell’appartamento.
Le birre degli arabi
Poi, nel pomeriggio, per l’assalto delle telecamere via via che l’informazione corretta sull’indirizzo si diffonde. «Siamo rassegnati – spiega Camille, tunisina di seconda generazione – a far notizia solo quando avvengono episodi negativi. Ma stavolta siamo tutti in silenzio, non ci ribelliamo: è troppo grande, troppo mostruoso quel che è successo». Più in basso sulla strada c’è una grande rotonda. Un concessionario, un’immobiliare. Ancora, due pizza&kebab, un tabaccaio, un’edicola che nemmeno ti aspetti. A bere birra c’è un gruppo di ragazzi arabi, uno solo tra loro è africano con i capelli intrecciati alla rasta. «Questo non è più un ghetto ed è un posto in cui persone di origine diversa hanno imparato a convivere con rispetto». Circola droga? «Provate a fare un giro la sera nei vicoli della città vecchia, a due passi dal mare, poi vediamo dove ne circola di più». Da qui, dai quartieri Nord, partivano gli assalti agli automobilisti più sprovveduti, «le rapine vol à la portière». Bastava un attimo per aprire lo sportello della macchina lasciato senza cintura per far sparire le borse delle signore o le valigette abbandonate sui sedili posteriori. «Tutta storia del passato, queste cose non esistono più». Le statistiche rivelano davvero un abbattimento di questi reati, nessuno saprà mai capire se certe attitudini criminali sono calate o se gli automobilisti si sono fatti più scaltri.
La metro per il centro
L’elemento che salva, preserva e riscatta questo quartiere, una banlieue diventata a misura d’uomo, qui viene definita con due sillabe: telé. È la metropolitana all’aperto e inclinata che parte dal cuore della città, piazza Massena, e si inerpica verso le alture. Non più di dieci minuti per compiere l’intero percorso e un collegamento veloce con il centro e il lungomare che ha ridotto le criticità. Magari a costo di far crescere i prezzi. Si vende con una forchetta che va dai 2.250 ai 2.800 euro al metro quadrato. Non è poco. «Qui – racconta ancora Ben – non ci sono più le famiglie veramente difficili, quelle che hanno creato qualche problema in passato. Questa zona è diventata, almeno in certe fasce sociali, addirittura una sorta di piccolo status symbol. Le vere difficoltà rimangono nelle zone più a Est, quelle dell’uscita dell’autostrada alla fine della discesa de La Turbie».
Così, in una giornata difficile per Nizza, con la tensione che pervade ogni strada, ogni angolo di una città ferita, massacrata, le reazioni all’assalto della stampa rimangono nei limiti. Vero: vola un uovo da una finestra, un ragazzo inizia a spruzzare acqua sulle telecamere. Ma c’è soprattutto voglia di spiegare e di spiegarsi, di sottolineare le differenze: «È davvero una follia – racconta Aida –pensare che questa gente possa avere qualcosa a che fare con l’estremismo, l’integralismo islamico. Sono persone che lavorano, che si danno da fare e che mediamente sono contente di potersi sentire francesi a tutti gli effetti».