la Repubblica, 15 luglio 2016
Rcs, Cairo vs Bonomi. Due strategie a confronto
Intervista a Urbano Cairo
Ultimo giorno di adesioni alle due offerte concorrenti sul capitale Rcs. Ieri l’Opas lanciata da Cairo communications aveva raggiunto il 22,03% del capitale Rcs e stasera si dovrebbe conoscere il risultato finale.
Dottor Cairo, cosa farà se la sua Opas su Rcs risulterà vincente?
«Non voglio solo tagliare i costi, mi dedicherò a tempo pieno al rilancio dell’azienda cercando anche di aumentare i ricavi, di fare sviluppo. Negli ultimi anni in Rizzoli non hanno lanciato nuovi prodotti, la Gazzetta Tv è stata chiusa dopo poco tempo con perdite importanti».
Quali aree della Rcs si possono sviluppare secondo lei?
«Una priorità è quella del Giro d’Italia che oggi fattura solo 25 milioni contro 110 del Tour de France. Entrambi gli eventi sono visti in più di 160 paesi del mondo e agendo su sponsor, diritti tv e tappe i ricavi del Giro potrebbero aumentare in maniera consistente».
Lei non ha esperienza di quotidiani ma solo di settimanali. Che cosa potrebbe fare per riportare lettori verso i giornali di carta?
«Negli ultimi anni mi sembra che gli editori di quotidiani abbiano fatto di tutto per allontanare i lettori dai loro prodotti. Hanno ridotto le pagine, le tirature, introdotto gadget obbligatori, non hanno fatto promozione. Non è vero che la gente non vuole più leggere i giornali, solo li vuole di maggiore qualità e pagarli di meno. La carta può recuperare lettori ma per mantenere la foliazione bisogna avere più notizie, più idee e rendere la vita più semplice al consumatore».
Vede altre aree di inefficienza nel panorama dei giornali Rcs?
«Oggi ha un brand fantastico, non può vendere solo 110 mila copie. Sette può diventare un magazine di tendenza. In Spagna El Mundo è crollato nella diffusione e sul mercato c’è spazio per almeno tre nuovi settimanali».
Dopo tre rilanci a testa state valutando Rcs quasi 950 milioni. Non è troppo?
«È vero abbiamo alzato la nostra offerta rispetto all’inizio, ma credo si possa creare molto valore ristrutturando e rilanciando Rcs. Il mio piano prevede di raggiungere 170 milioni di Ebitda al 2018 dai 17 del 2015».
Lei ha sempre ricordato che nelle società che ha acquisito non ha mai tagliato posti di lavoro. Può fare la stessa promessa nel caso di Rcs?
«Questo è il mio principio generale anche se prima di assicurarlo devo entrare nella società e capire bene i conti. Io ci posso mettere tanto lavoro e una grande passione per questo mestiere».
Non le sfuggirà che la Rizzoli ha sempre rappresentato anche un importante centro di potere. Si sente le spalle sufficientemente larghe per fare l’editore unico di Rcs?
«Io non vedo Rcs come un centro di potere ma piuttosto un’azienda che ha un grosso potenziale inespresso. D’altronde anche La7 può essere considerata un centro di potere, dal Tg di Mentana a 8 e mezzo di Lilli Gruber fino a Floris si raggiungono milioni di telespettatori. Il mio stile è di scegliere i direttori o i conduttori e poi dargli fiducia, non voglio interferire con la fattura di giornali o programmi».
L’uscita di Fca dal libro soci Rcs ha facilitato la sua discesa in campo?
«A Rcs ci pensavo già prima della decisione di Fca. Certo la loro decisione ha reso più contendibile la società che da quel momento ha il 65% delle azioni sul mercato. In quel momento il mio interesse è cresciuto».
Come è nata l’alleanza con Intesa Sanpaolo? Non sarà una presenza ingombrante per Cairo avere una grande banca azionista e creditore?
«Prima ho incontrato Gaetano Micciché, poi Giovanni Bazoli che non conoscevo, quindi mi sono confrontato con Carlo Messina. A tutti loro ho esposto il mio progetto che è piaciuto molto, vogliono che mi occupi di Rcs, sanno che per gestire bene le aziende ci vogliono persone capaci e appassionate».
Aveva avuto colloqui anche con Diego Della Valle, c’era l’idea di fare l’operazione insieme?
«Ho parlato con Della Valle ma non l’ho visto orientato al cambiamento dell’azienda come lo ero io, era più per il mantenimento dello status quo».
Bonomi e i suoi soci sono saliti al 25% e, nel caso lei vincesse, potrebbero fare opposizione. Riuscirebbe lo stesso a fare la fusione Cairo-Rcs?
«Parto dal presupposto di fare il bene dell’azienda e penso che loro siano delle persone responsabili. Se a un certo punto la fusione Cairo-Rcs fosse considerata positiva per entrambe le aziende non vedo il motivo per opporsi».
Intervista ad Andrea Bonomi
Andrea Bonomi, fondatore di Investindustrial, si è unito a Mediobanca, Della Valle, UnipolSai e Pirelli per contrastare l’Ops di Cairo. La loro Imh ha già in pancia il 24,7% di Rcs e con l’Opa a un euro cash ieri ha raggiunto il 30,4%.
Dottor Bonomi, partiamo dall’inizio. Che cosa vi ha spinto a entrare nella partita Rcs?
«Una serie di fatti. Ci è stato domandato dalle banche creditrici, tra gli altri, di portare leadership, indipendenza, serenità e capitali in Rcs. Ma anche un piano realistico e coerente con il ruolo di rilievo e le potenzialità del gruppo Rcs, cosa che abbiamo fatto. Ed è per questo quindi che mi permetto di commentare in modo oggettivamente negativo le proposte di Cairo».
Due offerte concorrenti su una società editoriale in difficoltà che portano con sé due visioni molto diverse di rilancio.
Perché quella di Cairo non funziona?
«Cairo non ha secondo noi la dimensione per competere efficacemente in un segmento competitivo e complicato come quello in cui opera la7. Aggiungo che le riviste di Cairo seppur ben gestite sono nel segmento dell’editoria fra i più difficili e se si aggiunge che l’Ops ridurrà o eliminerà la cassa è facile capire perché lui vuol fare questa operazione, perché concentra i suoi messaggi sul valore di Rcs e non della sua azienda e perché dei soci come noi e i nostri partners non ne vedono l’interesse».
In verità anche la Rcs non viene da un periodo di splendore finanziario. Sono stati commessi parecchi errori negli ultimi dieci anni. Conviene?
«L’abilità di Cairo, in effetti, è stata quella di spostare l’attenzione dalla sua azienda ai problemi del passato di Rcs, che però non devono essere confusi con la situazione attuale. Penso sia un’ingiustizia per il management attuale della Rizzoli sentirsi addossare colpe e responsabilità del passato. E anche gli azionisti che c’erano prima e ci sono tuttora hanno sicuramente agito in buona fede. Avendo perso tanti soldi è encomiabile che siano disposti a metterne ancora».
Secondo voi quale dovrebbe essere la cura giusta per Rcs in questo momento?
«Rcs ha bisogno di una governance che funzioni, di una stabilità finanziaria che Imh (International media holding) può portare, al contrario di Cairo, di risorse significative e di efficienza nei costi e soprattutto deve concentrarsi sui suoi marchi che sono molto forti. Ciò che assolutamente non serve a Rcs è aumentare la propria esposizione ai segmenti più deboli dei periodici e della tv».
Come risolverete il problema della Spagna?
«Non è un mistero che Rcs abbia un problema gestionale importante in Spagna e noi siamo le persone giuste per risolverlo perché conosciamo bene la Spagna, avendo fatto molti investimenti importanti in quel paese. Abbiamo inoltre una conoscenza importante del settore sport nel quale Rcs deve costruire una piattaforma europea partendo da Italia e Spagna con brand forti Gazzetta dello Sport e Marca».
Tuttavia voi non siete propriamente editori, cosa vi fa pensare che possiate avere successo in un ambito così difficile?
«Secondo noi nel caso di Rcs è meglio essere investitori di lungo periodo che editori che promettono guadagni nel breve periodo. Chi lo fa getta fumo negli occhi e non fa il bene dell’azienda e dei suoi azionisti. Rcs ha una dimensione di problemi che possono risolvere solo investitori dalle spalle larghe con visione di lungo periodo per farne un giorno un leader di mercato».
Avete idee particolari per il Corriere della Sera?
«Non crediamo possa servire né al Corriere né alla casa editrice un uomo solo al comando, con smania di controllo, che porta in dote beni che generano minime sinergie. Il Corriere della Sera è ben gestito, deve rimanere indipendente, come Imh è in grado di assicurare, e investire nella digitalizzazione. A New York abbiamo un team specializzato che aiuta tutte le nostre aziende».
Con l’Opa avete già superato il 30% ma non è chiaro se potete tenere le azioni qualora risultaste perdenti. Cosa può dire al riguardo?
«Quella che l’Opa perdente si dissolve è un’interpretazione dei legali di Cairo mentre l’opinione dei nostri è opposta. Aspettiamo fiduciosi il giudizio della Consob».