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 2016  luglio 15 Venerdì calendario

La Merkel è «nauseante», Erdogan un «segaiolo» e la Clinton «un’infermiera sadica». Così disse Boris Johnson prima di diventare il nuovo ministro degli Esteri del governo May

Theresa May ha nominato l’ex sindaco di Londra Boris Johnson ministro degli Esteri, una decisione che rivela da sola quanto la nuova premier britannica ami il rischio. Johnson e la diplomazia non hanno infatti proprio niente in comune: nel corso della sua carriera politica non ha mai rinunciato a una battuta, ha anzi insultato i leader di molti paesi e ha espresso pareri sulle crisi internazionali opposti a quelli prevalenti nel suo partito. Non è che lo faccia apposta: è stato educato a Eton, e chiunque esce da quella scuola elitaria ha imparato ad avere la risposta pronta e a essere sempre brillante nella conversazione, rinunciando talvolta a riflettere prima di parlare. 
All’estero, la sua nomina è stata accolta con divertito sgomento. Mark Toner, portavoce del Dipartimento di Stato americano, l’ha sottolineata con un sorrisetto simile a quello della Merkel e di Sarkozy quando nel 2011 parlavano di Berlusconi. Il ministro degli Esteri francese Jean-Marc Ayrault ha definito Johnson «un bugiardo con le spalle al muro», e anche i tedeschi lo accusano di avere mentito ai cittadini britannici nella campagna del referendum. La frase con cui ha paragonato la UE a Hitler non sarà perdonata. Per fortuna della Brexit si occuperà David Davis e del commercio estero Liam Fox, così al nuovo ministro – annotava ieri il Guardian – resterà poco da fare. 
Certo sarà difficile per Johnson fare dimenticare le frasi che ha pronunciato da sindaco di Londra, quando pensava di potersi permettere qualunque stravaganza. L’elenco è sterminato: ha offeso Barack Obama dicendo che le sue origini «parzialmente kenyane» ne spiegavano l’avversione per la colonialista Gran Bretagna; ha definito Hillary Clinton, probabile prossimo presidente americano, «una infermiera sadica in un manicomio»; ha anche scritto di non volere andare a New York per il rischio di incontrare Donald Trump; ha definito la Merkel «nauseante»; ha attaccato volgarmente il premier turco Erdogan definendolo un «segaiolo»; ha detto che l’alleato di Londra in Siria dovrebbe essere il presidente Assad e ha elogiato Putin per il suo intervento al suo fianco, definendolo però più tardi un tiranno. In Israele, si è comportato così goffamente nel cercare un punto di incontro tra israeliani e palestinesi che la visita è stata interrotta. Nel Kurdistan iracheno ha lasciato un conto da pagare al bar ed è stato bloccato mentre stava per andarsene su una Jaguar F-Type da un autosalone. In Giappone ha placcato come un giocatore di rugby, dall’alto dei suoi 100 chili di peso, un bambino di 10 anni; ha anche definito «piccaninnies», negretti, le persone di colore e chissà quante altre ne ha dette e fatte che non sono finite sui giornali. 
Sarà difficile per Johnson, il re dei gaffeur, adattarsi al Foreign Office, un luogo nel quale ogni parola viene scelta con cura e pesata prima di essere pronunciata. Certo può cambiare, e usare meglio la sua intelligenza. Se non ci riuscirà, sarà mandato in giro per il mondo come un innocuo buffone, e la politica estera britannica si farà da Downing Street.