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 2016  luglio 15 Venerdì calendario

A lezione di eleganza da Rocco Barocco

«Dico sempre che voglio smettere, ma so già che non lo farò mai», racconta così, con profonda gioia e una luce particolare negli occhi, il suo lavoro lo stilista Rocco Barocco. «Sono felice di quello che faccio e l’entusiasmo è esattamente lo stesso, se non maggiore, di quando ero giovane e ho iniziato a dedicarmi, oltre che all’alta moda, anche al prêt-à-porter. Allora, caricavo tutta la collezione su un Maggiolino e partivo da Roma alla volta di Milano, dove in un albergo esponevo la collezione e facevo davvero di tutto, senza formalizzarmi troppo, coadiuvato da un mio amico che metteva la musica col giradischi, che spesso si bloccava».
Lei, quindi, ha fatto davvero la gavetta...
«Sì, e ne sono fiero. Quando ho iniziato c’era ancora la gerarchia. Prima si diventava apprendista, poi aiuto del maestro e, solo dopo, stilista. Era una scuola lunga e ricca di esperienze».
E la sua come si è svolta precisamente?
«Provengo da una famiglia molto numerosa, con otto fratelli, e da subito mi è stato chiaro che avrei dovuto darmi da fare o sarei rimasto fermo al punto di partenza. Altro interesse che mi era palese era quello per la moda e il bello. Così, da ragazzino, a Ischia, andavo a scuola la mattina e nel pomeriggio lavoravo in una boutique molto famosa all’epoca, amata dalle varie signore del jet set per i suoi pantaloni. Chiesi a un’amica francese che aveva un locale e una casa sull’isola di presentarmi due stilisti che lei conosceva bene. Fu così che entrai in questo mondo. Patrick de Barentzen e Giles videro i miei disegni e mi offrirono uno stage nel loro atelier romano. Mio padre firmò un’autorizzazione legale, perché ero ancora diciassettenne. E partii verso il futuro».
Le manca qualcosa di quell’epoca?
«L’unico rimpianto è che gli anni sono passati troppo in fretta. Dovessi iniziare adesso, forse non saprei accontentarmi del ruolo che hanno gli stilisti, con la loro creatività imbrigliata e soffocata dalla proprietà delle multinazionali, che ti obbligano a lavorare quasi su commissione, con gli occhi sempre puntati alle vendite».
A proposito, molti nomi storici del made in Italy hanno venduto la loro griffe ad aziende estere. Lei lo farebbe?
«Perché no? Ho anche avuto delle proposte. Ma nella mia carriera sono riuscito a crearmi una mia posizione e posso permettermi di scegliere con calma a chi e quando vendere e valutare un eventuale acquirente che abbia voglia e capacità di mandare avanti un marchio dalle grandi potenzialità commerciali».
Lei è cresciuto e tuttora torna spesso in costiera. Cosa consiglierebbe di mettere in valigia per le vacanze?
«Ho una villa a Capri e un boutique hotel a Sant’Angelo d’Ischia che sto finendo di arredare, caratterizzando ogni suite con oggetti belli e lussuosi, proprio come ho fatto nelle mie case. Ma i tempi sono sempre meno eleganti, ahimè. Le signore spesso confondono abbigliamento da città, da mare, da montagna e da collina, calzando ciabattine anche per le strade urbane. Alle donne direi di portare con sé almeno un abito o una gonna lunga, una maglietta moderatamente scollata, un abito in jersey, che è un passepartout, un copricostume che non sia trasparente e un sandalo basso e uno col tacco. Si dovrebbe avere più educazione. E non solo nell’abbigliamento».
Lei ha vestito donne bellissime e famose. C’è qualcuna che le è rimasta particolarmente nel cuore?
«Tante. C’era Virna Lisi e poi Ursula Andress, dal corpo perfetto. Laura Antonelli era molto femminile ed era spesso mia ospite a Capri. Poi c’erano Stefania Sandrelli e Claudia Cardinale, quasi rassegnata al ruolo che interpretava al cinema. Me la portò Consuelo O’ Connor Crespi, corrispondente italiana per Vogue America. Ricordo anche con molto affetto Edvige Fenech e Irene Brin, donna fantastica che organizzava cene a tema a palazzo Torlonia».
Trova differenze con le star attuali?
«Un tempo si affidavano allo stilista, ora agli stylist. Pensano che avere un aspetto disordinato sia trendy...».
C’è una sfilata alla quale è particolarmente legato?
«Nel 2005, per presentare la spring/summer 2006, ricostruii nei minimi dettagli la piazzetta di Capri in passerella. Un lavoro precisissimo, ma che mi ha entusiasmato e divertito».
Ma ha presentato anche a Cuba...
«Sì, nel lontano 2006, quando non era ancora aperta all’Occidente, ma io, che non amo le cose facili, volevo far conoscere quello che sapevamo fare. Non è stata una passeggiata, ma una bella soddisfazione, scelsi modelle locali. E, poi, altra sfida, sono andato in Colombia».
E la spring/summer del prossimo anno, che presenterà a Milano Moda Donna a settembre, a cosa si ispirerà?
«Al mio amore per Napoli, dove ho già scattato sei campagne, Pompei compresa. Devo dire che questo è per me un periodo piuttosto felice e quando sono di buon umore sono anche particolarmente creativo».