Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2016
Ci sarà anche un ministero per la Brexit
Ci sarà un ministero per la Brexit. La discussione scatenata dal voto del 23 giugno è senza fine e cinge già il perimetro indefinito della struttura che dovrà negoziare i termini dell’addio di Bruxelles. Si tratta di uno sforzo politico-burocratico estenuante, che impone di sciogliere i nodi legislativi gettati fra Londra e Bruxelles in 43 anni di partnership.
C’è chi la fa molto semplice dicendo che la normativa oggi in vigore nell’ambito del mercato interno, ad esempio, sarà semplicemente trasposta nella legislazione nazionale, una volta rigettato lo European Act, la norma di adesione alla Ue. I più concordano su uno sforzo ciclopico che peserà sulle spalle di David Davis. Non a caso David Cameron, già il 24 giugno, aveva annunciato la creazione di un’unità di lavoro affidata al sottosegretario Oliver Letwin, chiamato a convocare «the best and the brightest» – i migliori e i più brillanti – impiegati in qualsiasi ministero. A Whitehall e dintorni si cercano disperatamente esperti di diritto commerciale e i funzionari britannici a Bruxelles – quelli che vorranno rientrare – sono fra i più ambiti.
Il primo ministro Theresa May svelerà nei prossimi giorni i compiti assegnati al ministro della Brexit, e se avrà a disposizione un vero ministero. La vicenda è complessa perchè la trattativa fa capo in ultima istanza alla stessa signora premier, responsabile politico ultimo delle scelte che Londra adotterà. E lo è anche perchè la Brexit è tema globale che taglia trasversalmente tutti i ministeri e potrebbe diventare un super portafoglio che schiaccia le competenze di tutti gli altri. Non solo esteri ed economia ma anche difesa, industria, commercio, sanità, agricoltura e pesca.
Lo sforzo – abbiamo detto – non ha paragoni e assorbirà la capacità d’azione non solo di Westminster, ma anche della Commissione europea destinata ad anni di super-lavoro per accomodare Londra nel suo nuovo ruolo.
È evidente che molto dipenderà dall’assetto futuro delle relazioni fra Londra e Bruxelles. Se la Gran Bretagna dovesse tagliare del tutto i ponti commerciali con l’Unione Europea – nella forma che conosciamo oggi – sarebbe costretta al contempo ad avviare trattative con i partner futuri.
Un’azione su due fronti di una complessità senza uguali. «È stato fatto un esercizio vagamente simile – ha dichiarato di recente al Financial Times Julian Mc Crae, dell’Institute go Government – negli anni Settanta, quando il Regno Unito aderì alla Comunità economica europea. Ma in quell’occasione le aree principali di intervento erano limitate ad agricoltura, pesca, commercio. Oggi per molti ministeri a Whitehall la legislazione e il rapporto con l’Unione Europea è asse portante della loro struttura burocratica e dell’azione di governo che svolgono da decenni».