La Stampa, 14 luglio 2016
C’era anche un boss della ’ndrangheta a via Fani il giorno in cui rapirono Aldo Moro
Giuseppe Fioroni vince la sua notoria prudenza: «Per i titoli di coda c’è da aspettare ancora». Perché la mattina del 16 marzo 1978, in via Fani a Roma, dove fu rapito l’allora presidente della Dc Aldo Moro e trucidati gli uomini della scorta da un commando delle Br «c’era anche l’esponente della ’ndrangheta Antonio Nirta».
La presenza di uomini del crimine organizzato calabrese sul luogo della strage è da sempre uno dei capitoli più controversi della vicenda. Ne parlò in un’intercettazione telefonica l’allora parlamentare Dc Benito Cazora: «Dalla Calabria mi hanno telefonato per avvertire che in una foto presa sul posto quella mattina lì, si individua un personaggio... noto a loro». Foto che, effettivamente, furono scattate negli attimi successivi alla strage, dal terrazzo di casa e dalla strada, da Gherardo Nucci. Del rullino, affidato alla moglie, dipendente di un’agenzia di stampa, e poi consegnato al giudice Luciano Infelisi, si persero le tracce.
Ora la svolta, secondo il presidente della commissione d’inchiesta sul rapimento e la morte di Moro. Grazie all’«esito degli accertamenti svolti» dai Carabinieri del Ris «su una foto di quel giorno, ritrovata nell’archivio del quotidiano romano Il Messaggero, nella quale compariva, sul muretto di via Fani, una persona molto somigliante al boss Nirta». Comparando quella foto «con una (segnaletica, ndr) del boss», prosegue Fioroni, «gli esperti sostengono che la statura, la comparazione dei piani dei volti e le caratteristiche singole del volto» mostrano «una analogia sufficiente per far dire, in termini tecnici, che c’è assenza di elementi di netta dissomiglianza». E quindi per affermare «con ragionevole certezza» che si tratti proprio di Antonio Nirta, detto «due nasi» per la sua confidenza con la doppietta, nato a San Luca (Reggio Calabria) l’8 luglio del ’46 e «nipote del capo clan suo omonimo, morto a 96 anni nel 2015», di cui parlò la prima volta il pentito Saverio Morabito. «Il fatto che non si possa affermare al 100 per 100 che si tratti proprio di Nirta dipende da un particolare: in nessuna foto disponibile si vede l’orecchio – spiega il commissario in quota Pd Miguel Gotor –. Un elemento che avrebbe potuto consentirne l’identificazione con un grado di certezza ancora maggiore». Ma la perizia, sottolinea il senatore dem, «lo afferma con grandissima possibilità».
La semplice presenza in via Fani non vuol dire che Nirta abbia avuto un ruolo nella strage. «Dimostra solo che si trovava lì», sottolinea Fioroni. «Le ipotesi sono due – ragiona Gotor –. O si avvicinò semplicemente per vedere cosa stesse accadendo oppure era interessato o a conoscenza dell’agguato e si era mischiato alla folla per osservare». Fioroni rivela che è in corso un’ulteriore perizia sul volto di un altro personaggio legato alla malavita. Si tratta «di Antonio De Vuono morto in carcere nel 1993». In Romanzo Criminale, ispirato alla storia della Banda della Magliana, il magistrato Giancarlo De Cataldo sfiora le vicende del caso Moro. «Esponenti della Dc chiesero aiuto alla Banda per individuare la prigione dello statista – spiega –. Le novità che arrivano dalla commissione sono importanti per aggiungere un altro tassello di verità».