Il Messaggero, 14 luglio 2016
Il D’Annunzio inedito, molto dannunziano
Perché non possiamo non dirci dannunziani, potremmo dire, parafrasando Croce. Oggi l’attualità di Gabriele d’Annunzio è vivissima e perfino sconcertante. Ormai quelle che erano le manifestazioni di un carattere elitario si sono diffuse ovunque. Tutti aspirano a una casa che, come il Vittoriale, rifletta l’anima di chi la abita. Nel fastoso arredamento del Vittoriale, il valore degli oggetti non dipende dal prezzo o dalla rarità, ma dal loro ruolo nella coreografia del padrone di casa. «L’espressione è il mio unico modo di vivere. Esprimermi, esprimere è vivere».
Il suo sterminato guardaroba anticipa il consumismo e il culto del look. Il suo intenso amore per i levrieri l’odierna solidarietà tra l’uomo e l’animale. Anche la sua ossessione erotica è ormai un fenomeno di cui si discute instancabilmente. La sua attenzione per la gastronomia è un’abitudine diffusissima. Il suo gusto per lo sport altrettanto. Ma D’Annunzio è attuale anche nei suoi difetti, dall’uso della cocaina alla sua facilità nel passare in un momento di indignazione da destra a sinistra e poi viceversa, nei forti aneliti libertari della costituzione del Carnaro, nel sapiente uso della pubblicità in tante altre cose. Eppure un pensatore lucido come Gramsci denunciava nel 1921: «D’Annunzio è stato presentato come un pazzo, come un istrione, come un nemico della patria, come un seminatore di guerra civile, come un nemico di ogni legge umana e civile».
Una delle poche inattualità di D’Annunzio è invece la straordinaria, enciclopedica cultura, e la continua cesellatura di un linguaggio antico e moderno. Per questo è tanto più importante questa squisita antologia, Io, D’Annunzio (Enrico Damiani editore), un prezioso ritratto del Vate, grazie alla scelta dei un eminente esperto, Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione Vittoriale degli italiani. Si rimane colpiti notando tra versi e prose sorprendenti passaggi che anticipano l’odierna battaglia per l’ambiente e la sfiducia nel mondo della politica: «Il viaggiatore in Italia non nota forse a ogni passo i segni dell’incuria e della distruzione? Chi non ha contemplato con ira e dolore i resti di capolavori distrutti dai danni del tempo e dei moderni barbari? Chi non ha visto sublimi monumenti di bellezza, attorno ai quali un popolo civile dovrebbe promuovere un culto perpetuo, cadere in rovina per incuria? È assai più facile ottenere dal Governo una commenda per un ladro che un piccolo sussidio per una cupola che minaccia di cadere..»..
Grazie alle incessanti iniziative di Guerri, la sua fondazione ha ricevuto dal collezionista, Martino Zanetti una ricca donazione di tremila documenti, tra cui centinaia di focose lettere al primo e all’ultimo amore, anzi alla prima e all’ultima clematide, come l’aveva battezzata. Un soprannome che allude a un delicato rampicante, una delle tante prove dell’attenzione estrema di D’Annunzio per i giardini che hanno sempre circondato le sue abitazioni, creando scenari armonici e rispettosi del panorama in cui si inscrivevano. Nel parco del Vittoriale, magnificamente restaurato da Guerri, sospirava soddisfatto: «Il giardino è dolce, con le sue pergole e le sue terrazze in declivio».
Lì aspettava quell’estrema fiamma, «prodigio di grazia e di frenesia», la contessa Evelina Scapinelli, destinataria di tante bruciante lettere del Vate, di cui il Vittoriale ci offre questo inedito. Attraente quanto intelligente Evelina era «una donna di alto stile dopo tante donne addomesticate». Infaticabile nel tentativo di contrastare l’istinto di morte dell’ormai anziano amante. «Ti supplico di non parlarmi di vecchiaia. Se tu sapessi come in questi due soli giorni di lontananza io ho pensato e desiderato te. Mi sono sentita io vecchia ed inutile e stupida. Sei tu la mia giovinezza ed il mio amore e il mio respiro».
Eppure, pur sentendosi tanto amato, D’Annunzio, reduce da infinite seduzioni, pensava di non meritare quell’insperato attaccamento di una donna tanto più giovane e vitale di lui. «Non avevo mai sentito fino a oggi, così profondamente, l’orrore della vecchiezza. Ecco che il coraggio mi manca: dico il coraggio di lottare Se tu non fossi qui, se io non dovessi accettare il tuo sacrifizio forse potrei sforzarmi di curarmi, con la speranza del miracolo di rivederti, di stringerti per un’ora a me. Forse»